Largario, Vita dura con la tormenta. Una testimonianza dialettale

Largario (852 m.s.l.m.), pur appartenendo all’odierno comune di Acquarossa, è legato da rapporti più saldi con Olivone (attuale comune di Blenio) che con i villaggi immediatamente vicini sul versante destro della media valle. Infatti quasi tutte le famiglie autoctone sono imparentate, a seguito di matrimoni, con famiglie olivonesi. Questi contatti hanno radici remote e sono favoriti sia dal fatto che gli insediamenti temporanei sopra Camperio, sfruttati dai contadini di Largario, si trovano sul territorio di Olivone, sia dal fatto che Olivone, Largario e Campo Blenio sono riuniti in un unico Patriziato Generale.
Varie testimonianze raccolte negli anni Ottanta del secolo scorso comprovano che le relazioni fra i due paesi si manifestavano sul piano delle istituzioni (alcuni ragazzi di Largario hanno frequentato in parte la scuola a Olivone) e su quello delle usanze (i ragazzi di Largario si recavano a Olivone per la questua di capodanno; i giovani, per il carnevale; gli adulti partecipavano, con i patrizi di Olivone, alla processione del 15 agosto all’Ospizio di Santa Maria sul Lucomagno), nonché su quello della cultura materiale). Passando al piano linguistico, la varietà di dialetto attestata a Largario rappresenta un’espansione al di fuori del raggio locale di quella di Olivone e si scosta, per alcuni tratti specifici, da quella usata sul versante destro, da Ponto Valentino in giù.
Anche nell’economia agricola si colgono affinità evidenti: le tappe affrontate, fra maggio e dicembre o gennaio, dai contadini di Largario nello spostarsi con bestiame e masserizie, tra il villaggio, i monti a varia quota e l’alpe, si susseguivano con un ritmo parallelo a quello affrontato dai contadini di Olivone. Almeno fin verso la metà del Novecento, vigeva un sistema di organizzazione dei lavori rurali che richiedeva lunghi periodi di permanenza sui monti e numerosi spostamenti nel corso dell’anno, oggi non più attuali. Infatti il raggruppamento dei terreni, la costruzione di strade agricole e l’introduzione di mezzi meccanici per la fienagione consentono di accorciare i soggiorni sui monti e di trasportare d’estate in paese l’intera riserva di foraggio.
Come narrato nel 1986 da Stefano e Alpina De Leoni e confermato da altri intervistati delll’alta valle, i contadini rimanevano perciò sui monti con il bestiame, per far consumare sul posto le scorte di fieno e per disporre del letame da spargere sui prati e sui campi. L’inverno li vedeva inoltre impegnati in faticose discese con buoi e slitte per trasportare a valle il fieno, aprendosi a volte il passo nella neve appena caduta di fresco e compiendo non poche acrobazie per sfidare le avversità meteorologiche.

 

 

Traduzione

S. – Certo che fai un po’ fatica, ecco! Come noi quando eravamo sul monte, sugli altri monti era lo stesso, ne abbiamo così trasportato di fieno dal monte, noi, coi buoi.
A. – Da Sacch.
S. – Da Sacch: e aprirci il passo magari nella neve alta un metro e mezzo.
A. – Ma c’era mio fratello al quale non piaceva mica tanto, perché dovevano stare dentro [= a Sacch] a spazzare neve, spazzavano neve di giorno, tutto il giorno: entro la mattina le strade erano ancora bloccate perché c’era la bufera, c’era la tormenta, gli riempiva ancora di neve tutta la strada. E allora dice: “Devo stare dentro a fare una vita così?” – “No!” Eh, d’altra parte, No, ma poi adesso c’è la comodità che il fieno si trasporta a casa [= in paese] d’estate: lo falci, lo carichi una volta sola.
S. – Quasi tutte le mattine – eri sicuro – di strada non ce n’era più: un solo cumulo di neve soffiata dal vento, da cima a fondo! E dopo non puoi andarvi dentro coi… il bue avanza un po’, poi dopo, insomma, più o meno, anche le bestie erano… Allora bisognava cavarla.
A. – No, ma poi i cumuli di neve sono più brutti della neve che cade a fiocchi, viene più…
S. – I cumuli di neve sono duri, eh. Restano duri, perché [sott.: la neve] viene soffiata, si ammucchia. Si ammucchia lì e si rinserra. Si rinserra. Sono di quelle fatiche! Ma quando ne hai lì davanti un metro e mezzo! Eh eh! E bisogna buttarsi a pancia in giù! Eh, io quando ho…
A. – E non eravamo capaci di scendere con gli sci.
S. – E io quando mi sono aperto il passo nella neve – una volta venivo da Sacch per scendere a Camperio, per venire dal Giovanni dei Tucia – insomma, era più alta di me la neve. Eh, io sono andato… avanzavo un pezzo: dopo mi buttavo giù così in avanti a pancia in giù a schiacciarla. Non avevo il badile, no. Se avessi preso il badile, era diverso, ci davo qualche badilata, Invece dovevo avanzare un po’, poi zacch! Un po’… Avanzavo un pezzo, come da qui… erano circa 4 metri; poi dovevo schiacciare, se no mi facevano male dappertutto le gambe, eh! Perché dovevi alzarle le gambe, non potevi trascinarle. Se le trascinavi, si rinserrava la neve e restava imprigionata la gamba, eh!

 

Chiose

malavita: ‘fatica, sacrificio’.
Sacch: n.l., monte nella zona di Camperio, a circa 1300 m.s.l.m.
fénd: ‘fendere, spaccare (ad es. un pezzo di legno)’; nel testo ‘aprire il passo nella neve affondandovi il piede’.
cufióu sing., cufiái pl.: ‘massa di neve polverosa e gelata, trasportata dal vento’.
bütass im butásc: ‘gettarsi bocconi’.

Da: Documenti orali della Svizzera italiana. Trascrizioni e analisi di testimonianze dialettali: 1 Valle di Blenio: prima parte, a cura di Mario Vicari, Bellinzona, Ufficio cantonale dei musei – Vocabolario dei dialetti della Svizzera italiana, 1992, capitolo II.12.
Estratto dalla reg. 86.40 conservata presso l’Archivio delle fonti orali del Centro di dialettologia e di etnografia di Bellinzona.

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