Prugiasco, scorte di legna. Una testimonianza dialettale

Parlano Maria Frusetta-Mandioni, Aldo Frusetta e Giovanni Frusetta; Intervista Mario Vicari

In tutta la Valle di Blenio il bosco era una risorsa economica importante. Benché i vallerani non ne abbiano fatto oggetto di un’attività principale, molti vi trovavano d’inverno un’occupazione accessoria.

Alle forme di sfruttamento dei boschi legate a introiti più o meno modesti, si affiancava la loro utilizzazione per il consumo domestico di legna (unica fonte di riscaldamento e di energia per la preparazione del cibo). I patriziati riservavano perciò al taglio determinate parti di boschi, assegnate per incanto ai migliori offerenti o date gratuitamente. A Prugiasco, all’inizio della primavera l’Ufficio patriziale designava la porzione di bosco ceduo misto da adibire al taglio, variandola di volta in volta, così che si ritornava sul medesimo posto in media ogni vent’anni. La zona e la data stabilite erano indicate su un comunicato affisso all’albo patriziale. La mattina del giorno convenuto, di buon’ora, ogni ‘fuoco‘ vi mandava il suo rappresentante. Se una famiglia rinunciava, era libera di cedere il diritto a un’altra.

Si tagliavano per lo più noccioli, ontani, frassini, pioppi e sorbi mentre si risparmiavano le piante di alto fusto. I partecipanti, provvisti di un’accetta, erano allineati in una fila piuttosto serrata e procedevano tutti insieme, avendo l’accortezza di non intralciarsi o ferirsi a vicenda. Man mano che abbattevano gli arbusti, li accatastavano in mucchi di dimensioni grosso modo equivalenti, senza sfrondarli. Verso mezzogiorno si concedevano una sosta in comune, per rifocillarsi con pane e crénga o qualche fetta di salame e un goccio di vino. Poco dopo, se necessario, riprendevano il taglio e passavano a estrarre a sorte da un cappello i biglietti con i nomi dei singoli ‘fuochi‘. Si ripeteva tre o quattro volte il sorteggio, poiché il numero dei ‘fuochi‘ era inferiore a quello dei mucchi. Infine i due o tre mucchi residui erano assegnati a sorte bonariamente.

A questo punto, ciascuno si occupava della propria legna. Dopo aver sfrondato e tagliato in pezzi gli arbusti, formava una catasta e si affrettava a contrassegnarla col marchio di famiglia. Il marchio permetteva di riconoscere la propria catasta soprattutto nel periodo in cui il fieno era alto. I vecchi marchi, apposti sul legname, sugli attrezzi e sugli edifici rurali, consistono di lettere maiuscole dell’alfabeto e di figure geometriche semplici, che risalgono verosimilmente a un’epoca in cui l’analfabetismo era ancora diffuso. Per esempio il qui intervistato Giovanni Frusetta descrive così il marchio della sua famiglia: una tacca, una croce e un quadrato.

Il trasporto in paese era rinviato al breve periodo di tregua tra il primo e il secondo fieno, perché con l’avanzare della primavera altri lavori incalzavano, ed era suddiviso in più tappe. Dopo essere usciti dall’intrico del bosco con i fasci in spalla, si utilizzavano la slitta e la fune aerea (detta comunemente filo a sbalzo).

Compiuto il primo tratto sulla slitta, si riuniva la legna in fasci, che dovevano essere legati saldamente, affinché non si disfacessero quando li si faceva scendere agganciati agli uncini di ferro della fune.

L’introduzione della fune aerea risale agli inizi del XX secolo. A Prugiasco era di proprietà del Patriziato, ed era costituita di una sola tratta per una lunghezza di circa 800 m. Al cavo metallico semplice, a cui si appendevano gli uncini di ferro o le rotelle, subentrò più tardi la corda metallica di fili intrecciati. I patrizi se ne servivano gratuitamente, con l’unica condizione di prestarsi per provvedere alla manutenzione e tendere il filo prima di rimetterlo in funzione.

I sentimenti con cui i tre intervistati rivivono le giornate nei boschi riflettono, da un lato, lo svago e, dall’altro, la fatica: pensiamo alla mancanza di motosega e di strade agricole, costruite solo negli anni Cinquanta o Sessanta del Novecento.

Traduzione

M. – Ma si può… c’erano certe volte, eravamo ben su in una bella combriccola, veh, a tagliare.
A. – Oh, certe volte c’erano quasi tutti: quasi tutti i fuochi erano…
M. – … c’erano.
G. – Oh sì! Se i boschi erano appena appena un po’ facilmente raggiungibili.
M. – Eh, specialmente quelli appena qui sopra.
A. – Capitava di fare due lotti per non essere troppi a spartirsi la legna in ultimo, senza doverla dimezzare.
G. – Cominciavamo a tagliare, per prima cosa. Cominciavamo alla mattina: un posto dove decidevano, il pezzo dove decidevano di tagliare. E dopo, eh, cominciavamo in cima, e man mano che tagliavamo, facevamo i müdìll [= mucchi] – come dicevamo noi – di legna. Così, più o meno: certe volte uno era più grande, l’altro era un po’ più piccolo.
Allora c’era un ragazzotto – o non importa chi, una donna – che estraeva il biglietto dal cappello. E il nome che c’era sul biglietto, ecco, era quello di chi riceveva il primo mucchio di legna.
M. – … che gli toccava.
G. – Dopo vi metteva il suo marchio. E via, continuavamo così, fin quando si estraevano tutti i biglietti, neh: tutto il giro.
M. – … fino all’ultimo.
G. – Tutto il giro, perché dovevano avere una ‘sorte’ per uno. Dopo c’erano certe volte, eh, Aldo, c’erano quelli che dicevano: ‘Oh, ma quella lì è grande, la mia è piccola!’
A – Un po’ di discussione.
G. – Neh.
M. – E le ‘sorti’ erano poi tutte in posti piuttosto malagevoli, perché erano proprietà del Patriziato quelle lì. E portavamo fuori dai boschi la legna dopo aver tagliato il fieno e ci pareva quasi… – sì sì, tutta a spalla la portavamo fuori – e ci pareva quasi perfino di andare a riposare: mettere da parte la falce e la gerla, andare a portare fuori la legna. E la portavamo lì alla portata… su una strada, che dopo, tante volte, ci toccava poi ancora caricarla su una slitta; e la tiravamo giù in vicinanza del filo a sbalzo. E dopo li facevamo scendere [sottinteso: i fasci di legna]. Ma dopo era poi un macello: se ce n’era poi uno che si incagliava, per l’amor di Dio! E dopo gli si mandava dietro un fascio appeso alla rotella. E dopo arrivava giù, si riduceva poi tutto in pezzetti: c’era poi legna da tutte le parti. Dopo ci toccava poi ancora andare a raccattarla e tirarla ancora a destinazione, a casa.
G. – E prima di far scendere i fasci, tante volte si batteva sul filo su in cima, neh.
M. – Eh: sì, prima di far scendere i fasci di legna.
G. – Si batteva sul filo per… eh.
M. – … si dava l’avviso: ‘Ci siamo, cominciamo!’ Battevano quelli in cima, sentivano quelli in fondo. E dopo erano lì pronti a prendere questi fasci di legna quando arrivavano giù: se arrivavano poi in fondo, tante volte, eh…
A. – Dapprima era un filo metallico.
G. – Eh.
A. – E si mandavano giù i fasci con gli uncini di ferro o le rotelle. Dopo ultimamente c’era una corda metallica intrecciata al posto del filo.
G. – E a quei tempi…
M. – E la legna era ancora piuttosto scarsa a quei tempi lì.
G. – … in quei tempi la legna non era come adesso, ma…
M. – … che vengono su piante dappertutto. E a quel tempo lì invece c’era da dire grazie a Dio che c’era la legna delle ‘sorti’, da andare a tagliare!
G. – Sì, sì.
M. – Eh.
A. – Eh, ma un po’ era poi abitudine che per conservare quella vicina, andavano a prendere quella distante.

 

Chiose

fruntä: ‘capitare’.
spärmezä: ‘smezzare’.
Ddumân: ‘mattina’.
drädänä: ‘man mano, in successione ordinata’.
müdìll: ‘mucchio di fieno, legna, sassi, terra’.
sórt: ‘sorte’, ‘sorteggio’, ‘diritto acquisito per estrazione a sorte’ e concretamente qui: ‘lotto di bosco su cui i patrizi hanno diritto di tagliare legna’ e ‘quantità di legna ottenuta per sorteggio’.
sgèrla: ‘gerla a stecche rade’
rodèla: ‘rotella’, nel senso specifico di ‘rotella di ferro con scanalatura, che scorre lungo la fune aerea’.
bordión: ‘cavo metallico della fune aerea’.
pìcch: uncino’, nel senso specifico di ‘uncino di ferro o di legno, a cui viene agganciato, mediante una corda, il carico da far scendere sullafune aerea’.
gordinä: ‘cordina’, nel senso specifico di ‘corda della fune aerea, formata da più gruppi di fili metallici intrecciati’.

Da: Documenti orali della Svizzera italiana. Trascrizioni e analisi di testimonianze dialettali: 2 Valle di Blenio: seconda parte, a cura di Mario Vicari, Bellinzona, Ufficio cantonale dei musei – Vocabolario dei dialetti della Svizzera italiana, 1995, capitolo II.7.
Estratto dalla reg. 88.4 conservata presso l’Archivio delle fonti orali del Centro di dialettologia e di etnografia di Bellinzona.

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