Leontica, deposito postale e agguato notturno. Una testimonianza dialettale

Parla Gentile Beretta-Manara; intervista Mario Vicari

L’ex comune di Leontica, a 876 m, su un terrazzo del versante destro della media Blenio, è costituito di alcuni nuclei abitativi e di una frazione discosta, Comprovasco (528 m), situata sulla sponda destra del Brenno poco al di sopra del fondovalle.

Il fluttuare demografico stagionale non era privo di conseguenze per la vita del paese. Infatti il tenore economico era improntato a un modesto allevamento, compensato da una forte corrente migratoria periodica. In particolare gli uomini si dedicavano a una doppia stagione: quella di marronaio da ottobre a marzo e di casaro o pastore in luglio e agosto sull’uno o l’altro dei molti alpeggi dell’alta valle.

Prima dell’apertura della strada carrozzabile che scende a Comprovasco, costruita nell’ultimo decennio del XIX secolo, Leontica era accessibile mediante una mulattiera interamente selciata. In caso di nevicate, la popolazione era tenuta a spalare la neve, così che le bestie da soma potessero transitare. Si trattava del lavoro in comune, prestazione collettiva assai diffusa in passato nei villaggi di montagna; per le famiglie che non vi partecipavano erano previste multe.

Il brano dialettale qui riportato si rifà a un ricordo familiare di Gentile Beretta (nata nel 1898): il primo deposito postale di Leontica, gestito da sua nonna, Gentile Manara. Molto spesso i depositi postali erano assegnati a donne. Infatti la donna, alla quale erano precluse le altre occupazioni pubbliche, poteva assumersi questo compito che, oltre ad assicurarle un modico guadagno mensile, era compatibile con i lavori domestici e rurali, concedendole il tempo di accudire alle bestie e di attendere alla fienagione.

Il vecchio deposito postale a Luntia d’Dint, il nucleo più settentrionale di leontica, era uno squallido stanzone privo di misure di sicurezza. Ecco perché ogni sera la nonna di Gentile avvolgeva in un tovagliolo la scatola con tutto ciò che aveva un seppur esiguo valore pecuniario e di notte la poneva al sicuro sotto il cuscino. L’unico segno di ufficialità di cui disponeva era l’apprezzato cappotto che le poste fornivano ai dipendenti, da lei denominato frac.

Titolare del deposito per 29 anni, si faceva aiutare dalla figlia, sia per il giro della distribuzione, sia per accontentare le esigenze della popolazione, non avvezza ad attenersi agli orari. La postina doveva inoltre affrontare ogni giorno a piedi il tragitto fra Leontica e la fermata della diligenza ad Acquarossa. Dopo aver ritirato la corrispondenza alle 17, iniziava il percorso, sostando a Comprovasco; proseguiva poi per la cosiddetta Strada di Cavâll (Strada dei Cavalli), il tratto di mulattiera fino alla Cappella di Pianadéira, e giungeva a Leontica in tarda serata. Nemmeno il giorno di Natale era esonerata dalla distribuzione.

Nell’imminenza delle feste natalizie, al raccorciarsi delle giornate e alle nevicate frequenti si aggiungeva un insolito traffico postale, provocato dai pacchi che gli emigranti spedivano ai parenti. Per poterli trasportare, la postina si divideva il peso con due o tre compaesane, provviste ognuna di una gerla. In quel clima di dicembre si ambienta l’episodio dell’agguato notturno narrato da Gentile, che si ricollega a una situazione reale: la costruzione della strada carrozzabile, per la quale era stata ingaggiata manodopera originaria dell’Italia settentrionale. Sembra che fra gli stradini vi fossero taluni avventizi che vivacchiavano di espedienti più o meno leciti e disseminavano un senso di diffidenza tra le donne, consce della loro impotenza nel difendersi, data l’assenza in paese di valide forze maschili. Ciò spiega, nell’episodio, la precauzione della nonna, accordatasi preliminarmente con due uomini, che avrebbero dovuto scortarla nel punto più pericoloso della salita.

Traduzione

Ma il deposito postale l’hanno aperto prima della strada, perché… perché mi ricordo che mia nonna mi diceva che una volta hanno dovuto andare a cercare… fare lavoro comunitario – lavó t’cumün, come dicevamo noi, il lavó t’cumün – a cercare uomini per fare la strada, per poter far passare due bestie attaccate al carro, per andare giù a prendere i pacchi ad Acquarossa.

E un’altra volta, quando stavano facendo la strada – c’erano gli stradini, li chiamavano stradini – allora, tante volte, si mettevano in cammino magari due o tre donne – o quattro – alla sera, sul tardi, quando arrivava dentro [= in valle] la diligenza.

Eh, se ne andavano col lanternino per (a) andare… andare ad Acquarossa a caricarsi di pacchi, perché c’era tanta emigrazione una volta, andavano via in tanti. E per le feste si ricordavano dei loro parenti.

Fatto sta che tante volte avevano là un ammasso di pacchi, eh. Più che… più che 60 chili! Una volta [sottinteso: mia zia] è ben arrivata su con 70 chili.

Dopo sono… una sera, dice: “Off, si ha quasi paura: tanti stradini, così, eh”. Allora c’erano il Carlo dei Niss e il Carlo dei Gerlètt, dicono: “Non abbiate fastidio, che veniamo incontro: dateci la voce quando arrivate alla Cappella di Pianadéira!”.

E difatti hanno fatto così: ma questi uomini non hanno aspettato che gli avessero dato la voce, si sono avviati e dicono: “Quando arrivano lì…”.

E difatti, quando [sottinteso: le donne] sono arrivate giù in Casnicc, gliene venivano dietro due. E via, e via, e via. Hanno tirato fuori il coltello: erano quasi vicino, hanno tirato fuori il coltello.

Allora si sono messe a chiamare: “Carlo, Carlo!” E gli altri erano già lì, gli hanno dato retta. Li hanno presi a sassate per farli passare giù. Gli sono andati dietro a sassate.

Dopo, una volta che hanno aperto la strada – l’hanno forse aperta nel 1896, può darsi – allora, almeno dopo… Ma, insomma, sulla gobba bisognava portarla la gerla!

Dopo, a quell’epoca là, non c’era poi la cuccagna degli orari come adesso. Tante volte stavi mangiando: arrivavano qua a portare una lettera, arrivavano qua a fare questo, a prendere quello. Non avevano nessun orario, neh. [sottinteso: Mia nonna] era sempre in piedi a dargli bada.

E mi ricordo che d’inverno, quando era… – era un locale freddo – aveva un coso rotondo, lei lo chiamava lo scaldín. E riempiva di brace quello lì, lo portava fuori [= nel locale della posta], vi metteva su i piedi.

Chiose

lavó t’cumün: letteralmente ‘lavoro di comune’, ossia ‘lavoro imposto alla comunità’.
muntunada: ‘grande quantità di oggetti ammucchiati’.
bâld: ‘quasi’.
Niss: soprannome di un ramo della famiglia Gianella di Leontica; da niss ‘epiteto di noci dal guscio duro e solcato, da cui non si può cavare l’intero gheriglio’, in senso figurato ‘duro di testa’.
Gerlètt: soprannome della famiglia Fiorini di Leontica, trasferitasi a Comprovasco; da Gerletti, cognome di famiglia estinta.
Pianadéira: zona con pianori (coltivati a campi in passato), stalle, sottobosco e una cappella, attraversata dalla vecchia mulattiera per Leontica.
Casnicc: zona boscosa, poco sotto Pianadéira.
bòcc: pl. di bòcia ‘ciottolo tondeggiante’.
sciüí: ‘gerla a stecche fitte’.
scaldín: ‘scaldaletto’.
brasca: ‘brace’.

Da: Documenti orali della Svizzera italiana. Trascrizioni e analisi di testimonianze dialettali: 2 Valle di Blenio: seconda parte, a cura di Mario Vicari, Bellinzona, Ufficio cantonale dei musei – Vocabolario dei dialetti della Svizzera italiana, 1995, capitolo II.9.
Estratto dalla reg. 84.48 conservata presso l’Archivio delle fonti orali del Centro di dialettologia e di etnografia di Bellinzona.

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