O Santa Cecilia, un racconto di Sandro Beretta, in italiano e in dialetto di Leontica

Ecco qui un testo narrativo di Sandro Beretta scritto prima della sua morte avvenuta nel 1960 e pubblicato postumo grazie al fratello Remo dapprima, nel 1963, e poi riedito in L’aria dal basso, da Casagrande nel 2004. Remo Beretta nel 2008 ne ha tradotto un estratto nel suo libro Classici e dialetto, pubblicato da Edizioni Ulivo, in cui insieme a Giovanni Orelli hanno preso una scelta di autori e ne hanno tradotto alcuni brani ognuno nel suo differente dialetto dell’alto Ticino.

La voce che legge in dialetto è di Fernando Beretta, fratello dell’autore, di Remo e di Americo.

Americo: Leontica, 1929 – Breganzona, 1992
Remo: Leontica, 1922 – Lugano, 2009
Fernando: Leontica, 1943

 

O Santa Cecilia

di Sandro Beretta, pubblicato in L’aria dal basso, edizioni Casagrande

Era già una settimana che il Milio girava per casa e la Frasca aspettava che se ne andasse un giorno o l’altro, perché di figli è meglio non averne, quando si è costretti a dir loro che, se vogliono venire a casa, devono portarsi dietro la roba. Una gran fortuna, la Frasca, non l’aveva mai avuta, da quando, il pomeriggio delle nozze, il suo uomo le aveva detto: «Bisogna ben che la buttiamo fuori, quel po’ di grassa, nei prati»! Tuttavia, «sto ben bene», diceva a tutti quelli che interrogavano i suoi occhi grigi. Anche quando la gente si era messa a mormorare che la correggia attorno alla vita del Begna non fosse solo per ornamento e nemmeno per tener su le brache. Ma non c’era da stare allegri neanche ora che il Begna era sottoterra. E l’annata pareva una maledizione. Bastava appena per non crepare. La figlia laggiù a San Ferdinando, le aveva scritto «se puoi venire ad aiutarmi», perché c’era in aria un altro marmocchio. Uno all’anno… Ed ora, dopo due anni, era tornato anche il Milio, una sera che la Frasca aveva tutte le ossa rotte dal gran strascinar fieno. Più miserabile di quando era partito. Aveva parlato solo a monosillabi e s’era dato a lavorare come un dannato. Poi lei aveva saputo la verità, ché se la soffiavano perfide, le donne, sottovoce, dentro le carrali. Allora l’aveva assalito con una veemenza acerba, amara: che era una vergogna marcia farsi mandare a casa col foglio di via, a vivere alle spalle degli altri e a portare disgrazie… E provò lo stesso spasimo di quando le era morta la Cecilia, bruciata come una torcia. Fu due armi prima, d’agosto, lassù a Fontanedo. Per colpa sua, era stata colpa sua, del Milio. Era venuta una gran siccità, e c’era da imprecare ad ogni levar di sole, contro la malannata che sembrava accanirsi alle spalle della gente. Una siccità che bruciava a vista d’occhio ogni filo d’erba, ogni segno di vita, su per le pendici esposte e magre della Camminada. La Frasca era corsa a tutte le processioni, per invocare l’acqua dal buon Dio, e aspettava fiduciosa l’aria dal basso, che preannunciava la grazia. Ma il buon Dio doveva aver altro da fare che ascoltare le preghiere delle povere donne… Il Milio, invece, se la prendeva oltre ogni dire, e rientrava ogni sera bestemmiando, da quella terra che sembrava bruciata dal fuoco. Diceva con rancore, scrutando il cielo terso: «Ormai, tanto vale che lasciamo uscire la Roda delle pecore, sui prati». E s’era messo, per iscacciare la malinconia, a discorrere alla figlia dei Gigia, ma con una sorta di disperazione, intanto che la siccità cominciava a prender dentro, su, su, fino a Fontanedo… Quel giorno c’era un sole maledetto e la Frasca era via a trar su l’anima per buttar dentro tutto quel che era rimasto della falciata. Se egli l’avesse curata, la bambina, con quel fuoco che s’accendeva dappertutto per un nonnulla, invece di correr dietro a quella stupidella dei Gigia, non sarebbe successo niente. E non si sarebbe dannato – dopo la disgrazia – quando la Frasca gli aveva gridato di andarsene. Proprio l’indomani che piovve, che rinverdivano, come d’incanto, le pendici bruciate del monte e sembrava che la gente si fosse ritrovata… E adesso, dopo due anni, c’era ancora fra loro l’ombra della Cecilia morta. Il Milio l’aveva guardata come se, dopo due anni, il fatto non lo riguardasse più: ma la Frasca lo sentì ancora di là della parete gemere che, maledetta, era meglio crepare… Allora avrebbe voluto strapparsi il pane di bocca, per non avergliele dette, quelle parole così dure. Era ripartito coi suoi stracci, prima dell’alba. La Frasca capì che non l’avrebbe più riveduto e s’era messa a chiamarlo debolmente col cuore grosso, come un lamento: «Milio… Milio». Ma l’avevano sentita solo gli ultimi avvinazzati che salivano dalla sagra di Ponte e la Frasca aveva smesso di chiamare. Un odore aspro di fieno secco veniva dai prati, e le venne in mente d’avere appena il fiato di tirare avanti per l’iniqua fatica del giorno nascente. Il Milio, era già quasi alla stazione del Piano… Passando davanti alla croce di Pian Cassinella, ch’era sulla strada, nel gran crepuscolo mattinale d’agosto, pensò, pieno di disperazione, che anche Cristo doveva essere morto per nulla.

Ascolta in italiano

Ascolta un estratto in dialetto

Per saperne di più su Sandro Beretta, viaggiatore e scrittore di Leontica

Documentario Rsi di Fabio Calvi, 2008
Documentario Rsi di Graziano Terrani, 1987
Documentario Rsi di Eric Bergkraut 1993

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