Largario, la rascana. Una testimonianza dialettale

Le rascane – grandi intelaiature su cui si esponevano i covoni dei cereali affinché essiccassero al sole e all’aria – erano diffuse nei Distretti di Blenio e Leventina. Numerose fotografie e alcune testimonianze orali ne documentano la presenza anche nell’attuale comune di Acquarossa almeno fino al termine della seconda guerra mondiale, sia in prossimità dei villaggi, sia sugli insediamenti temporanei fino al limite d’altitudine di crescita della segale (1500 m.s.l.m.). Costruita interamente in legno e di misure variabili a seconda delle località e delle esigenze, la rascana è alta in media da 6 a 8 metri e larga da 4 a 5. I due montanti sono confitti solidamente in buche e presentano, a 1,50 o 2 metri dal suolo, otto o più fori quadrangolari a distanze regolari: in questi ultimi sono fissate mediante cunei le estremità delle traverse orizzontali. Per caricarla, si procedeva da sinistra a destra e dal basso all’alto inerpicandosi da una traversa alla successiva. Di solito era una donna che, servendosi di una pertica lunga fino a 5 metri, biforcuta a un’estremità o munita di un grosso chiodo, porgeva da terra i covoni a un uomo che era appollaiato su una delle traverse. I covoni rimanevano sulla rascana uno o due mesi, entro limiti compresi fra agosto e ottobre, che variavano a dipendenza dell’altitudine e delle condizioni meteorologiche. Si trattava di una struttura che si rivelava funzionale: da un lato perché, essendo sviluppata in altezza, consentiva di sfruttare appieno il calore solare senza sottrarre superficie utile alle coltivazioni; dall’altro perché era costruita con materiali reperibili sul posto dai contadini stessi. Tra questi, Bartolomeo Martinali di Largario, che nel 1984 ne riferiva con memoria lucida e partecipe.

 

 

Traduzione

Credo che una qualcuna l’ho costruita! Quella lì che c’è… perché qui c’erano due aie. Ce n’era una giù dietro la Casa comunale e una qui, appena più indentro, dove c’è l’ultima casa lì su quel pianoro. Ah, lì mi ricordo sempre, anche di quella lì mi ricorderò sempre, eh. Perché lì abbiamo fatto la nostra rascana dalla parte di sopra, eh: abbiamo demolito quella dei vecchi che c’era lì, e poi ne abbiamo fatte due. Anzi, i montanti sono ancora su qui: non li abbiamo segati, ci sono ancora; li abbiamo strappati [sott.: dalle loro buche] e li abbiamo messi ancora lì, come erano. E dopo, in questa dannata rascana… qui in questa dannata aia, c’era dentro un masso così, che avanzava su solo quattro dita, da dove si doveva passare col correggiato per battere. E dopo i vecchi hanno continuato – mi pare con una punta – a scalpellare scalpellare, poi avrebbero dovuto scalpellare ancora un secolo, per tirarlo a livello del terreno. E allora noi diciamo; noi e i De Leoni giù lì diciamo: “Ma possiamo ben minarlo quello lì”. Così, andiamo dentro [sott.: nell’aia]: andiamo dentro, miniamo! Eh, il masso è ben saltato: ma più in basso è crollata la rascana intera, di quelli lì, dei Tògna. E abbiamo dovuto andare subito, e procurare noi il legname e poi rifargli la rascana. Bisognava sostituirla, già! ecco. Quello è il primo lavoro! Noi credevamo di essere progrediti, diciamo: “Noi sì che lo togliamo via il sasso dall’aia, ecco!”. Ma invece insieme al sasso è crollata la rascana più in basso. E dopo noi ne abbiamo costruito ancora un’altra giù qui per i Sart, che abitavano giù lì: ma una rascana piccola. Ma quella lì allora gliel’abbiamo fatta… glieli abbiamo fatti perché ci hanno domandato di farglieli, quei montanti lì. E per la nostra, abbiamo preso il legname fuori al ponte di Rí Grand, fuori là. E poi dopo… perché dovevano essere lunghi – non so io, eh – più che 8 metri. E dopo bisognava segarli, per farli diventare due. Eh. Bisognava segarli: allora mettevamo [sott.: il tronco] sul muro; e poi dopo con una catena lo attaccavamo dietro a un qualche posto che non si muoveva, lì a un sasso; e poi dopo, uno su sopra a tirare verso l’alto la trentina, come la chiamavano; e un altro giù sotto, o due, a tirare verso il basso. Allora erano lavori che facevamo quelli lì. Ecco, eppure li abbiamo fatti! E non siamo mica morti per quello!

 

Chiose

rascana: ‘grande intelaiatura di legno su cui si pongono i covoni dei cereali a essiccare’.
rascaní: ‘montante della rascana‘.
blédi: ‘dannato, maledetto’; dall’inglese bloody ‘sanguinante, sanguinoso, sanguinario’.
fiíll: ‘correggiato con cui si battono i covoni dei cereali’.
trentina: ‘grande sega intelaiata, usata per segare i legname per il lungo’.

Da: Documenti orali della Svizzera italiana. Trascrizioni e analisi di testimonianze dialettali: 1 Valle di Blenio: prima parte, a cura di Mario Vicari, Bellinzona, Ufficio cantonale dei musei – Vocabolario dei dialetti della Svizzera italiana, 1992, capitolo II.11.

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