Padre Geranio e i suoi amici

Storia di un missionario bleniese e di un sogno che sta per realizzarsi

Ci incontriamo a Bellinzona, davanti alla scalinata della Collegiata dove tutto è iniziato, il matrimonio, l’incontro che lo ha portato a Padre Geranio e l’inizio dell’avventura africana! Sto parlando di Lindo Deambrosi, che nel 1973 sposò Nicoletta proprio nella Collegiata di Bellinzona. I due sposi lavoravano entrambi per la compagnia aerea Swissair e quindi, di viaggi, ne avevano già fatti un bel po’. Chiesero dunque all’arciprete Torti che li sposava se aveva qualche idea ‘diversa’ per il loro viaggio di nozze. Ed ecco che per la prima volta sentirono parlare di Padre Luigi Geranio, nato a Dongio, residente a Kala, Tanzania. Quel momento marcò un segno nel loro destino che fino ad oggi li avvolge e li riempie e che non possono che raccontare con gli occhi lucidi di entusiasmo.

Padre Geranio era un Missionario d’Africa, o meglio un Padre Bianco, ovvero membro di una congregazione così chiamata perché fin dai suoi albori nel 1868 lavora soprattutto in Africa e all’inizio aveva adottato il vestito simile a quello delle popolazioni arabe nordafricane, bianco. Il religioso bleniese, in valle soprannominato Padre Gino, è stato missionario in Tanzania dal 1952 al 2004, in particolare nella regione dell’Ufipa, vicino al lago Tanganyika. La popolazione locale lo chiamava Father Monswenga, colui che fa tutto con le mani.
Ricorda Lindo: «Padre Geranio era un missionario che la pensava così: ‘Non posso insegnare il Vangelo a gente che ha la pancia vuota’. E per tutto la vita si è occupato di dare istruzione, igiene, strade, acqua, cibo, ai più poveri della regione dove aveva scelto di operare. Oltre a strade, ponti e dispensari, Padre Geranio mise in opera innumerevoli pozzi e strutture per raccogliere e distribuire l’acqua; addirittura a Chiwanda realizzò un laghetto artificiale di notevoli dimensioni, si parla di uno specchio d’acqua lungo e largo centinaia di metri! A Tunduma, città alla frontiera con la Zambia, una delle sue tante parrocchie, aveva cercato acqua per anni senza successo. Disperato, aveva addirittura chiamato un rabdomante che diceva di aver individuato una sorgente a 60 metri di profondità. Scettico ma testardo come lo sono i bleniesi, fece eseguire una trivellazione. Non ci crederete: trovarono l’acqua. Il pozzo di captazione servì poi per fornire acqua alla missione di Tunduma, al relativo dispensario e convento delle suore».

Quando Lindo e sua moglie arrivarono vissero per un mese con Padre Geranio. Gli chiedo oggi se è stato difficile. «No», mi dice lui. «Era difficile tornare». E così anche per il missionario: i ritorni erano la cosa più difficile. Come se la normalità fosse quella vissuta in Africa, e i negozi pieni, la gente poco ospitale, il benessere dell’Occidente fossero uno schiaffo in faccia all’uguaglianza. «Ecco perché ci piaceva», dice Lindo. «Lui aveva solo scopi umanitari, non gli andava giù quella differenza enorme tra ricchi e poveri, si arrovellava a capire il perché e cercava di correggerla, un po’, come poteva… Non si è mai abituato alle ingiustizie. Ha fatto moltissimo. E sempre con il suo temperamento calmo, discreto, riservato, ma caparbio». Aiutava le donne. Diceva: se aiuti una donna aiuti tutta la famiglia. Quando costruiva ponti, strade, ospedali, si faceva aiutare da tutti, qui da noi per i fondi, là per le braccia. Ha cominciato con piccoli ambulatori ed è arrivato a centri sanitari sempre più grandi. Formava le suore, affinché facessero da infermiere.

Quanto deve essersi sentito solo, Padre Geranio? Aveva una piccola radio, captava Radio Swiss International, il più grande piacere che potevano fargli i volontari che lo andavano a trovare, Lindo e Nicoletta per esempio, che tornarono varie volte a dargli una mano durante le loro vacanze, era portargli cassette di musica classica, sigari e cioccolata. Che lui si affrettava poi a condividere con i suoi confratelli, quando si incontravano per le festività. Tutte le sere alle 19 i Padri Bianchi della zona si sentivano via radio: era il loro momento quotidiano di convivialità. Altrimenti, erano soli in terra straniera. O meglio: erano attorniati da persone che volevano loro bene e questo non è poco. Però…
Quando poi ritornava a casa Padre Geranio era spaesato, si sentiva africano, era abituato che la gente, se chiedi aiuto, ti dà tutto quello che ha… e qui invece trovava porte chiuse, lui parlava del bisogno di ospedali in Tanzania e si aspettava che le banche gli riversassero addosso quello di cui necessitava. Ma non era così.
Quando aveva circa settant’anni una volta lo portarono d’urgenza al Chuv di Losanna. I suoi superiori lo avevano obbligato a tornare in Svizzera perché era malato. «Dall’ospedale ci chiamavano un giorno sì e uno no per dirci di andare a rendergli l’estremo saluto. Niente, invece si è ripreso. I medici gli avevano proibito di tornare in Africa. Ma un giorno, arriva e mi racconta tutto contento: ‘Ho trovato un bravo medico…’ Dico: ‘Come un bravo medico?’ ‘Sì, bravo perchè mi ha detto che potevo partire…’ Voleva finire un suo progetto che aveva iniziato». E Padre Geranio è tornato nella sua Tanzania, nella città di Sumbawanga, dove stava costruendo un centro sanitario (vedi riquadro a fianco). Tornò in Valle di Blenio dieci anni dopo, per morire. Prosegue Lindo: «Era un giorno che dovevo andare a intervistarlo con una giornalista. Siamo arrivati la mattina a casa sua e ci hanno detto che da poche ore riposava in pace. Ha lavorato fino alla fine, e oltre, perché l’articolo lo abbiamo scritto lo stesso, raccogliendo suoi pensieri e parole che aveva lasciato e entro fine anno vogliamo portare a termine anche il suo progetto di ospedale».

Concludiamo con uno dei pensieri di Padre Geranio, ricavato dalle innumerevoli lettere dall’Africa che Lindo e sua moglie hanno ricevuto e raccolto in oltre 40 anni di collaborazione con questo uomo straordinario: …sarebbe difficile incapsularsi, fuggire, ignorare…
Ci si incrosta di superfluo, ci si racchiude davanti al povero, gli si chiude la porta in faccia… ma davanti alla nostra coscienza, che è poi la voce di Dio, ci si trova disarmati, perché appunto Dio si nasconde nell’anonimo, in quel che ci da fastidio, che ci rompe le scatole…
(Da Lettere dall’Africa, Padre L. Geranio, Tunduma, 1992)

AUTORE
Sara Rossi Guidicelli

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