Brasil Blenio: una squadra di calcio fondata cinquanta anni fa

La storia del calcio femminile bleniese è seduta qui, a questo tavolo. «Attenzione però: la squadra si chiamava Brasil Blenio, ma fai bene a scriverla sul 3valli», mi dicono, «perché questa è una storia delle Tre Valli».
Le guardo una a una: sono quattro donne con il fuoco negli occhi, che tirano fuori da un borsa gialla le maglie e i calzettoni del Brasil Blenio e ridono di come erano minute cinquant’anni fa. Sparpagliano le foto sul tavolo, si lanciano sguardi complici, mi raccontano di quei tre splendidi, indimenticabili anni…
I tre anni della squadra di calcio che hanno fondato nel 1971.
Un gloria. Una conquista.
Una passione.
«Abbiamo iniziato a giocare a pallone in cortile, con i maschi, da bambine».
«Mica che ci facevano giocare volentieri, all’inizio… bisognava minacciarli un po’, sai».
«Beh però la Sonia, lei, la facevano giocare sì. Era una specie di Pelè».
«Questo non scriverlo, non scriverlo assolutamente».
«Va bene. Ma com’è che poi avete fondato una squadra?»
«Ci siamo trovate noi quattro al ginnasio e a ricreazione andavamo a giocare con i maschi. C’era il direttore, e anche il maestro di ginnastica, che ci richiamavano».
«Non volevano che giocassimo. Uno ci ha detto: Non è per le ragazze, poi vi crescono i peli e non potete più fare figli».
«Ma davvero vi hanno detto così?»
«Sì. Si sbracciavano e urlavano: Guardate che diventate dei maschi anche voi».
«Poi però il click lo abbiamo fatto quando siamo andate a Dongio a vedere un torneo. C’erano due squadre femminili, il Lugano e il Mendrisio. Allora ci siamo dette: se possono loro, possiamo anche noi».
«Avevamo 14 anni, forse nemmeno compiuti».
«Abbiamo anche giocato quel giorno, a Dongio. Al Mendrisio mancavano due giocatrici e il Dottor Andreoli, che era presidente della squadra di calcio maschile, ci ha detto di entrare… Ci hanno dato due magliette, e via».
«Il Dottor Andreoli è stato un mentore per noi, sempre».
«Perché?»
«Mah, forse lo divertiva vedere delle ragazze giocare così appassionatamente».
«E poi la Sonia era una diva. Si muoveva poco, ma segnava tanto».
«Non scriverlo».
«Ok. E dopo?».
«Dopo, ci ha aiutate anche il Bernardi. Era il nostro docente di italiano. Gli abbiamo detto: ‘Vorremmo mettere un annuncio sul giornale, che cerchiamo delle ragazze per fare una squadra di football’. E lui ci ha scritto l’annuncio in bell’italiano».
«Lui approvava?»
«Più che altro aveva capito che tanto avremmo giocato lo stesso».
«Abbiamo pubblicato l’annuncio sul Teleradio perché era gratis. Non avevamo un soldo. Neanche dopo, in realtà, non abbiamo mai avuto un soldo, però ci siamo arrangiate».
«Siamo andate a raccogliere la carta straccia e l’abbiamo portata al macero a Bellinzona per comprarci delle maglie; abbiamo organizzato feste campestre per raggranellare qualcosa…»
«Ah, ma sono stati anni fantastici. Non era solo il calcio: era l’amicizia».
«Sai, lei è madrina di mio figlio, e lei è madrina di mia figlia. Io senza il Brasil Blenio non sarei la stessa, oggi».
«Sono stati tre anni, ma potenti. A quell’età, ti butti con tutta te stessa, vivi le cose con così tanta intensità… Abbiamo buttato un seme che è durato tutta la vita».
«Oh, non far tanto la romantica tu».
«E poi devi pensare che non c’era niente. Non c’era ginnastica in Valle di Blenio, cinquanta anni fa, non c’era tanta possibilità di fare movimento, di divertirsi… Cosa facevamo? Sciare al Nara d’inverno e poi…»
«Beh, noi in Leventina avevamo la ginnastica e le partite dell’Ambrì alla Valascia!»
«Ah beh, sì, anche a Biasca c’era la ginnastica… ma poi sai, erano anche gli anni della ribellione».
«Era la scia del Sessantotto! Volevamo dire che eravamo uguali ai maschi, che ci piaceva divertirci anche a noi e che nessuno poteva metterci in gabbia!»
«E quando avete scritto l’annuncio, sono arrivate altre ragazze?».
«Sì, siamo diventate una squadra! Abbiamo chiesto prima a Biasca se potevamo allenarci al campo di calcio e ci hanno detto di no, perché eravamo femmine. Allora siamo andate a Dongio, che tanto l’Andreoli ci aveva in simpatia, e siamo diventate una squadra bleniese, anche se non eravamo tutte di qui».
«E il nome?»
«Ah, questa è una bella storia. Avevamo la Alve Fogliani, a Biasca, che aveva un negozio di sport. Le abbiamo chiesto di trovarci delle magliette a basso costo. Lei ci voleva bene, allora, penso che ha messo ai saldi queste qua…»
«Secondo me non ne poteva più di vederci arrivare a chiederle cose, la divisa, le scarpe, la borsa…»
«Beh, alla fine eravamo vestite come i campioni del mondo: il Brasile. Maglietta gialla e verde, pantaloncini blu, calzettoni bianchi… e con la scritta ‘Brasil’ sulla maglia come ti vuoi chiamare?»
«Avevate un allenatore?»
«Ne abbiamo avuti due, anzi tre. Ma il primo è durato un’ora. È venuto, ci ha fatto un po’ di teoria, poi quando una di noi gli ha chiesto se il portiere poteva prendere la palla con le mani, è scappato».
«Poi un giorno ci ha telefonato la Federazione di Calcio ticinese e ci ha detto che c’era una riunione al Ristorante Ceneri. Noi non sapevamo bene cosa fare, avevano detto ‘Mandate qualcuno del comitato’… Comitato?! Ci hanno portate là i nostri genitori; siamo entrate (mica si andava spesso al ristorante, negli anni Settanta a 13 anni) e c’erano i luganesi in giacca e cravatta; noi eravamo alte un metro e una cicca…»
«Ah ma se abbiamo riso in quegli anni lì…»
«E a quel ristorante, finalmente, abbiamo trovato il signore con la Toyota».
«Chi è il signore con la Toyota?»
«Sandro Frapolli: si è offerto lui di farci da allenatore. Lì al Ceneri. Ci ha chiesto: Quanti soldi avete? E noi: zero! Però è venuto lo stesso».
«Quando abbiamo cominciato c’erano l’All Stars Lugano, il Femina Noranco, il Santos Cresciano e Les Sautrelles di Preonzo. La squadra femminile del Mendrisio non c’era più…».
«Si vede che le mancavano quelle due giocatrici».
«Abbiamo sempre vinto noi».
«Quasi sempre».
«No, no, sempre. Poi alla fine gli altri si sono stufati di perdere contro di noi».
«Leggi qua, la Gazzetta dello Sport [ticinese ndr], cosa dice dopo il torneo femminile di Muzzano, alla presenza di mille spettatori: Il Brasil Blenio è una piccola fabbrica di talenti, una squadra sportivissima e seguita da un codazzo di appassionati da fare invidia a chicchessia. È stata una finale a senso unico, in quanto il Noranco pur vantando nel suo complesso ottime individualità non è certo al livello delle vallerane. […] Su tutte è emersa Fiorini Sonia…»
«Censura».
«È vero che avevamo il codazzo, a ripensarci: venivano su i ragazzini dalla Riviera con il motorino a vederci… i nostri compagni di ginnasio… magari un qualcuno si era un po’ innamorato. Ma noi non ci pensavamo, eravamo concentrate sulla palla…»
«Ma perché poi avete smesso?»
«Beh, non c’erano più squadre, chiudevano tutte… io le capisco, a perdere sempre…»
«Ma no, è che avevamo finito il ginnasio».
«Penso che avremmo potuto continuare a livello svizzero, ma ci volevano soldi, organizzazione, forse anche una motivazione più grande…»
«Io poi io ero già partita a studiare, anche voi eravate al Liceo…»
«Alla Sonia il Zurigo ha chiesto di giocare, ma non ha voluto».
«Beh no, a 16 anni non lasci la scuola e gli amici per andare a Zurigo così su due piedi».
«Io ho giocato coi miei figli».
«Io con i nipoti»
«Io con i colleghi maschi, facevamo i tornei dell’ospedale»
«Ma sai di cosa ci siamo rese conto dopo?»
«Di cosa?»
«Che i nostri genitori sono stati dei grandi. Ci hanno lasciato fare, ci hanno sostenute dietro le quinte, all’epoca non ci avevamo mai pensato. Noi ci divertivamo e basta mentre loro ci portavano in giro, col furgone del papà della Sonia, e si occupavano di questioni burocratiche di cui non avevamo neanche idea»
«Ci hanno lasciato fare quello che volevamo, erano contenti che ci divertissimo però ci hanno insegnato anche ad arrangiarci. Tante cose non ce le hanno preparate loro. Loro ci seguivano, da lontano»
«Eravamo sane. Non c’era invidia, eravamo felici. L’ambiente che c’era era qualcosa di speciale. Avremmo potuto vivere un’adolescenza in casa, chissà quante punizioni… invece no, andavamo a giocare a calcio».
«Eravamo corrette, non dicevamo parolacce e rispettavamo l’arbitro».
«Una volta però la Giovanna ha tirato un calcio sugli stinchi della Nadig, sai la campionessa di sci? Eravamo al torneo di Celerina e lei le ha dato una pedata… Ti ricordi il suo allenatore come ti ha sgridata? Perché lei faceva le gare di sci, non si poteva mica rovinare…»
«Con gli stichi che aveva però mi sono fatta molto più male io».
«E il terzo allenatore?»
«Ah, che bravo: il Giordano Lompa, di Personico. Ci ha messo l’anima, anche lui».
«Ecco, se vuoi un aneddoto devi scrivere quello della Sonia, una partita che pioveva, l’ha giocata con la cuffia da bagno per non bagnarsi i capelli… Tu segna, le abbiamo detto. Per il resto, vestiti come vuoi…»
«E poi non dimenticare il papà della Michela, sindaco di Personico: anche lui ci portava in giro con la sua Renault 16, tutte stipate a bordo e due nel baule… adesso queste cose non si fanno più».
«Beh, credo che in quegli anni lì ci hanno guardate tutti con allegria. Ci hanno viste come persone, credo, non come simboli».

Le coppe vinte dal Brasil Blenio sono in sede a Dongio con scritto Calcio Femminile.
Le ragazze della squadra che mi hanno raccontato sono:
Michela Cislini di Personico.
Beatrice Gianotti, di Biasca.
Giovanna Antognoli, di Lottigna.
Sonia Fiorini, di Acquarossa.

Le altre che hanno giocato nel Brasil Blenio sono:
Lores Gianotti, Morena Minoli, M. Ausilia Strazzini, M. Antonietta Corrazzini, Marilita Donati
Antonella Andreazzi, Claudia Scheggia, Tiziana Fiorini, Rita Genni, Pia Bulloni, Eliana Donati, Ornella Donati.

AUTORE
Sara Rossi Guidicelli

PUBBLICAZIONE
Rivista 3Valli

DATA DI PUBBLICAZIONE
01 Gennaio 2022

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