Ilvo Aimi ha fatto molti lavori nella sua vita, ma non gli è mai passata la voglia di guardare dentro i macchinari per vedere come si possono riparare se si rompono
Lo troviamo nel suo laboratorio di Dongio, circondato dai suoi strumenti di lavoro e dalle sue pazienti: le macchine da cucire, dalle più antiche a quelle moderne (che però gli piacciono meno perché non sono meccaniche bensì elettroniche). Ma lo troviamo anche alle feste che griglia costine e fa la polenta. E se ci alziamo presto, lo possiamo incontrare in certi boschi dove si trovano i funghi…
Quest’uomo eclettico è Ilvo Aimi, nato a Corzoneso, attinente di Ponto Valentino, meccanico di formazione, che ha fatto il suo apprendistato sul tram di Acquarossa e ha lavorato a Bellinzona in Officina; ha avuto l’occasione della Cima Norma per imparare a usare, mantenere e riparare le macchine incartatrici e poi è stato per anni alla Felmann (di cui ancora porta il grembiule quando è in atelier) per confezionare a Dongio i vestiti da lavoro e le camicie, a Giornico le tute militari e a Biasca salopettes e grembiuli. Ha diretto anche lui una fabbrica, dopo, a Claro, per vent’anni, sempre nel campo della creazione tessile. «Ma la mia passione sono loro», sorride questo padre di famiglia, ormai nonno, insieme a sua moglie xxx, e indica le macchine da cucire che tiene nel suo laboratorio. Ce ne sono di recenti, ma soprattutto di vecchie, alcune persino antiche, che hanno cinquanta o anche cento anni. Bellissime. In fila, in attesa di riprendere vita, suono, colore.
Non è un mestiere questo, ma un hobby, uno di quegli hobby che ti fa rimanere giovane per tutta la vita, come Ilvo, che con il suo mangiacassette ascolta De André, con una mano tiene il cacciavite e con l’altra solleva una Singer delle nostre nonne. La voce si è sparsa anche troppo: chi ha una macchina da cucire che non funziona, se non è un modello nuovo che bisogna rispedire alla ditta, piuttosto che buttarla, la porta al signor Aimi. «Tutto è iniziato una volta che ho trovato in un container un esemplare stupendo di macchina da cucire: l’ho preso e la sera mi sono messo a ripararla. Questa attività mi calma i nervi, anche quando lavoravo, non mi pesava dopo cena scendere nel mio atelier e ‘strusare’ con gli attrezzi: anzi».
E in che cosa consiste la rianimazione di una macchina da cucire? «Prima di tutto bisogna pulirla, smontarla, vedere se mancano pezzi e se sì andare a prenderli (magari ce li ho qui magari invece devo cercarli fino in Italia o costruirli appositamente). Insomma bisogna fare tutto quello che serve per renderla di nuovo funzionante e se si tratta di meccanica ci sono molte più probabilità di successo che con gli apparecchi digitali o elettronici; infine bisogna rimontare tutto e lucidare». Per terminare il lavoro, oltre alla macchina da cucire c’è poi spesso il coperchio e l’asse di legno, che lui dà a un nipote falegname da rimettere a posto, il telaio e le gambe del tavolo solitamente in ferro da pulire, ripitturare e laccare.
Le fotografa tutte, a tutte si affeziona, gli dispiace quasi restituirle dopo che sono passate sotto i suoi ferri e le sue amorevoli cure: alcune sono sobrie, nere o verde militare, altre hanno decorazioni in madreperla o con disegni dipinti sopra; si chiamano Anker, Gritzner, Opel, Pfaff, Singer, Bernina… Appartenevano alle donne di casa, spesso gliele portavano i parenti emigrati, oppure stavano nalle piccole fabbriche, di cui un tempo il Ticino era ricco: anche nell’Alto Ticino, laboratori modesti, con 5 o 6 donne e qualche macchina. Arrivano perché si sono appena rotte oppure qualcuno le ha trovate in solaio. Fra Edy per esempio gliene ha regalata una speciale per ricamare che ha trovato in Convento a Faido. A volte gli chiedono di mettere un pedale elettrico a una vecchia cucitrice: Beatrice Guidicelli ne ha trovata una nella sua soffitta di Giornico e l’ha fatta riparare con l’intento di spedirla a un gruppo di donne del Madagascar che adesso la usa per lavoro.
«Il piacere che mi dà questo passatempo è prima di tutto meccanico», prosegue Ilvo. «Apri e vedi tutto dentro, capisci come funziona. Alcune hanno un meccanismo raffinato e già da quello si capisce in che epoca sono state costruite: in un certo senso solo a guardarla, una macchina da cucire ti racconta la sua storia. E poi è un gioco: appena mi danno qualche cosa che non funziona mi sale una brama di vederla andare e non la smetterei più di dedicarmi a quel rompicapo».
Mi affascinano le passioni della gente, qualunque sia il loro oggetto. Ma quando vedo quelle macchine da cucire eleganti, con piccole decorazioni dorate e una storia di rammendi, di orli scuciti e ricuciti per anni, in modo che un vestito fosse giusto per tutti i fratelli di età diverse, o di creazioni che rincorrono l’alta moda, sfizi femminili da soddisfare, allora capisco che questa passione in particolare, la passione di Ilvo Aimi per le antiche macchine da cucire, non finirà mai di affascinarmi e che ogni tanto passerò dal suo scantinato di Dongio per guardare cosa gli è arrivato da riparare…
AUTORE Sara Rossi Guidicelli
PUBBLICAZIONE Rivista 3valli
DATA DI PUBBLICAZIONE 02 Aprile 2016
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