Piero Martinoli, per dieci anni presidente dell’Usi

«Siamo una valle di avventurieri»

Intervista al presidente dell’Università della Svizzera italiana, Piero Martinoli per la Rivista 3valli, che dice: «I bleniesi possono fare grandi cose»

La passione per la fisica è nata durante l’infanzia nella Valle di Blenio, mentre trascorreva ore accanto a suo padre, un medico dallo spirito rinascimentale che si ingegnava nella realizzazione di alcune piccole opere, come la centrale idroelettrica di Corzoneso. Piero Martinoli non avrebbe potuto immaginare, allora, quanto lo avrebbe portato lontano la sua curiosità per la scienza. Deciso a seguire questa passione, dopo il Liceo a Lugano si è diplomato in Fisica in tempi record al Politecnico di Zurigo, per poi conseguire un dottorato con una tesi sperimentale sui fenomeni di contatto tra un superconduttore e un metallo normale. Da quel momento in poi, salvo nell’ultimo decennio, non ha mai abbandonato l’attività di ricerca, affiancata all’insegnamento. È stato docente nei prestigiosi Ames Laboratories dell’Iowa State University, quindi nello stesso Politecnico di Zurigo e all’Università di Neuchâtel. Ha avuto il privilegio di conoscere e interagire con diversi premi Nobel e di assistere all’intuizione che ha portato alla nascita del microscopio a effetto tunnel al Laboratorio di ricerca Ibm di Rüschlikon. Oggi Martinoli ha 74 anni, e dal 2006 presiede l’Università della Svizzera italiana (Usi), dove, tra le altre iniziative, si è impegnato per diffondere lo studio del supercalcolo e delle scienze computazionali, e ha diretto il progetto che ha portato all’istituzione di una Facoltà di scienze biomediche in Ticino.

Nonostante il lungo cammino percorso, il ricordo che conserva della Valle è nitido e inossidabile.

«Sono nato ad Acquarossa, che a quei tempi non era nemmeno Comune. Era il ’41, c’era la guerra, mio padre era capitano medico e fu lui ad assistere al parto, forse grazie a un congedo», racconta. I primi anni in Valle sono stati indimenticabili. «Abbiamo avuto un’infanzia straordinaria. Si poteva scrivere la parola ‘libertà’ con la L maiuscola. Ricordo che andavamo nel fiume a pescare le trote con le mani, oppure a fare il bagno in un pozzo a Scaradra. Anche il bosco era importante: ci andavamo a giocare agli indiani. Un giorno abbiamo trovato una grotta, andavamo su e ci preparavamo la polenta da soli», spiega. «Certo, rispetto ad oggi correvamo qualche rischio. Basti pensare che giravamo con il flobert, un fucile di piccolo calibro, cosa che oggi sarebbe impensabile per dei ragazzini, oppure facevamo degli esperimenti con la polvere esplosiva degli zolfanelli. Ma indubbiamente è stata una giovinezza di una ricchezza incredibile».

Uno degli esempi di vita della Valle che porta nel cuore è quello della maestra Ausilia Toschini di Acquarossa della scuola consortile di Comprovasco, che durante gli inverni rigidi si prendeva cura dei piccoli allievi anche fuori dall’orario di lezione. «Alcuni venivano a piedi da Lottigna, non so quanti chilometri facessero ogni giorno. Tornavano a casa per pranzo e poi venivano di nuovo a scuola alle due», racconta Martinoli. «Quando faceva freddo, alcuni di loro avevano i geloni alle mani perché non avevano i guanti. Le famiglie erano povere allora. Ricordo che la maestra a mezzogiorno li portava a casa sua, li scaldava e dava loro da mangiare».

La passione per la fisica è sbocciata in quello stesso periodo. «Papà forse non si è mai reso conto che è stato lui a inocularmi questo ‘virus’. Aveva messo su una centralina elettrica a Corzoneso Piano, e io ho passato ore con lui mentre si occupava di alternatori, metteva a punto regolatori elettrici e meccanici. Era anche capace di costruire radio. Era un mezzo ingegnere, anche se poi ha fatto il medico, e voleva che lo diventassi anch’io», spiega con un sorriso. Un’altra esperienza determinante è stata quella sui cantieri per i lavori idroelettrici in Valle di Blenio. «Ero sempre in galleria col mio casco e la pila. Ero diventato un po’ la mascotte dei minatori, che venivano quasi tutti dal Veneto e lavoravano 11 ore al giorno con una sola ora di pausa. Una domenica», prosegue Martinoli, «nella galleria sopra Torre ci fu una frana e tre di loro rimasero uccisi nel crollo. Avevo 16 anni, fino a una settimana prima avevo lavorato con loro e li conoscevo benissimo. Non dimenticherò mai quella scena kafkiana con il pulviscolo tra le rocce. Fuori dalla galleria il capocantiere piangeva come un bambino, perché in un certo senso quelli erano i suoi figli. Ma ciò che più mi ha impressionato è che era gente che veniva da lontano a fare una vita durissima, e moriva in condizioni pietose a centinaia di chilometri dalle famiglie».

Certi valori, germogliati in quel miscuglio unico tra la dolcezza dei paesaggi della Valle di Blenio e le asperità della vita di allora, hanno rappresentato un bagaglio imprescindibile per raggiungere i successivi traguardi. «Io sono convinto che l’ambiente in cui si vive abbia un impatto sulle persone, che possa influenzare determinate facoltà intellettuali e inclinazioni», spiega. Si dice che il mare possa ispirare il concetto di infinito nelle persone che ci vivono accanto. «Io non ho avuto il mare, ho avuto le montagne, cui sono affezionatissimo, e appena posso ci torno», osserva. «Credo che anche quando si arriva in cima a una montagna si possa ammirare l’infinito, e in più si spazia a 360 gradi. E poi c’è quella sensazione incredibile di quando raggiungi la vetta. Ecco, io credo che la Valle di Blenio, con la sua conformazione unica, dolce e aperta, possa rappresentare una culla straordinaria per fare grandi cose. Non dobbiamo dimenticare che è stata una valle di migranti e di avventurieri». 

Uno spirito, quello della Valle del Sole, rappresentato mirabilmente dalla scrittrice Anne Cuneo nel libro Gatti’s Variétés, dedicato alla storia della famiglia Gatti, emigrata a Londra per cercare fortuna. «È un libro che consiglio perché è un ritratto molto realistico della Valle di Blenio tra metà Ottocento e inizio Novecento. Allora la gente era povera, poverissima, e la fame spingeva», ricostruisce il Presidente dell’Usi. «I Gatti andarono a Parigi a piedi. Erano marronai, raccoglievano le castagne. Era l’epoca in cui i papà partivano e le donne restavano a casa con i bambini. A qualcuno andava bene, e a qualcuno andava male. Ecco io credo che tutto questo abbia in qualche modo forgiato il carattere dei bleniesi».

Buttare il cuore e l’immaginazione oltre l’ostacolo, alla ricerca di una vita migliore o di un sogno da realizzare, a prescindere dalla fatica e dai pericoli, è tipico degli avventurieri. A questo proposito, un pensiero non può non andare al figlio Andrea, promettente pilota militare, bleniese anche lui, scomparso a 26 anni in un tragico incidente aereo. «È stato un colpo terribile», dice. «Ma se non altro so che aveva realizzato il sogno della sua vita, che era quello di volare».

Per il futuro delle Tre Valli, Martinoli ha in mente un progetto molto preciso. «Io mi auguro una cosa: che si realizzi il Parc Adula. Se ne discute da parecchi anni, ma il prossimo sarà quello della verità, perché i Comuni si troveranno a votare. Capisco che cambiare sia difficile, perché i patriziati sono abituati da centinaia di anni con i loro pascoli, e un progetto di questo tipo mette dei limiti. Però ci sono altri grandi vantaggi. Si sa benissimo che chi ha creato parchi in Italia o in Francia, ad esempio, da un franco ne ha fatti sei o anche dieci», ragiona. «Quindi io mi auguro davvero che si farà, perché altrimenti si corre un po’ il rischio che diventi una Valle dormitorio, dove gli abitanti trovano lavoro fuori e tornano soltanto a sera. Mentre i turisti, che ne apprezzano davvero la bellezza, la affollano solo nei week end. Talvolta non ci si rende conto del valore dei gioielli che si hanno in famiglia. Per questo credo sia un investimento che dobbiamo alle future generazioni».

AUTORE
Elena Boromeo

PUBBLICAZIONE
Rivista 3valli

DATA DI PUBBLICAZIONE
20 Novembre 2015

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