Incontro con l’artista bleniese in occasione della mostra Il filo verde all’Atelier Titta Ratti
La sua arte contiene il mistero, ma è comprensibile a tutti. Chiara Fiorini dipinge quadri, crea oggetti e installazioni da una trentina d’anni.
Nata ad Acquarossa, molto presto parte per Friborgo dove studia letteratura italiana, filologia romanza, storia dell’arte e catechesi. Aveva già cominciato da giovanissima a dipingere, sperimentando l’olio con la sabbia o la cenere; dopo l’Università decide di dedicarsi alla pittura e parte per Parigi, dove frequenta la Scuola d’arte Martenot e la Scuola Nazionale Superiore di Belle Arti, diplomandosi nel 1983. Mentre studiava, Chiara lavorava in una galleria d’arte come donna delle pulizie. «Una volta un gallerista mi ha chiesto chi ero, cosa facevo. Quando ha visto le mie opere mi ha proposto di fare una mostra e durante il vernissage la gente chiedeva: chi è l’artista? Quando mi ha indicata, qualcuno mi ha riconosciuta: ah, mais c’est la femme de ménage!’», così Chiara ricorda ridendo il suo primo nome d’arte.
Quando torna in Svizzera dopo gli studi, si trova ad affrontare due lutti molto pesanti nella sua famiglia: muore suo padre e l’anno seguente suo fratello maggiore, proprio quello che lei aveva visto dipingere e che le aveva regalato i suoi primi olii. Da allora nelle opere di Chiara Fiorini ci sono alcuni temi ricorrenti che le arrivano dal profondo: la casa, i ricordi che serbano le soffitte, i cassetti, le vecchie lettere e le vecchie stoffe. Dopo pochi anni le nasce un figlio e i suoi temi si arricchiscono di giochi e nascono i primi lavori tridimensionali e mobili: negli anni Ottanta inizia a portare alle sue mostre non solo quadri ma anche oggetti che il visitatore è invitato a muovere a suo piacimento. Cubetti che formano disegni a seconda di come si assemblano, per esempio. «Mi è nata l’idea che l’arte non è solo da guardare, ma anche da giocare; e poi che l’opera non è finita quando io ho smesso di modificarla, ma può continuare a modificarsi e rinnovarsi all’infinito».
Con la maternità le incombenze domestiche si moltiplicano e i suoi lavori spesso parlano di evasione, di fantasia che solleva e travalica la routine quotidiana, di poesia come salvezza per un’anima che abbisogna di un orizzonte suo, più ampio di quello delle faccende di casa.
Ci sono poche figure umane nelle raffigurazioni di Chiara Fiorini: ci sono gli oggetti che conosciamo, come i tavoli apparecchiati e le case, ci sono i letti nelle camere e le chiavi, le ringhiere, ci sono le valigie per andare e tornare da un viaggio, ci sono i libri, le barche, le scatole da cucito, i vestiti da sposa, i cappelli, i costumi da bagno e la natura. «Mi piace di più andare a raccogliere gli oggetti, guardarli e farli vivi. Una volta ho fatto tutta la mia strada dove vivevo a Zurigo e ho chiesto una scatola di fiammiferi in ogni bar o ristorante. Con quelle scatole ho decorato il mio panierino dove mia mamma mi metteva la merenda quando andavo all’asilo. Mi piace prendermi il tempo di andare a cercare le cose che mi servono».
Negli anni Duemila inizia una collaborazione con la Rassegna internazionale di scultura e installazioni openArt a Roveredo e così amplia ancora di più il suo campo d’azione: «Ho cominciato a creare installazioni e oggi devo dire che sono sempre contentissima quando mi chiedono di riempire uno spazio come meglio credo. Mi capita spesso di essere invitata insieme a gruppi di artisti in un luogo, dove siamo invitati a lavorare su un tema. Spesso sono luoghi nella natura, e lì mi sento molto a mio agio. Mi piace trovare il materiale che mi serve nella natura, che siano rami o foglie o rifiuti. In generale apprezzo quando posso usare solo materiale di riciclo, ridando vita a qualcosa. Spesso gli oggetti rotti, arrugginiti, lasciati in un angolo hanno una loro estetica e io faccio fatica a lasciarli lì dove sono». A Chiara piace lo scambio che avviene tra il dentro e il fuori: così le sue opere escono dal museo oppure fa entrare l’erba, il fiume, i fiori. Uno dei suoi lavori più significativi è un salotto intero costruito all’aperto e ricoperto di erba finta. Oppure un letto, sul lago di Zurigo che si illuminava di notte. La città aveva chiesto ad alcuni artisti di pensare a un modo per rappresentare i sogni e a come appoggiarli sull’acqua. O ancora, in un ex manicomio femminile ha rappresentato il dolore delle donne legate con foglie vere, che seccavano ogni giorno di più.
Non ‘fa sforzi’ Chiara Fiorini per essere originale; se le chiedono di creare un’opera che rappresenti la lettura in un parco, come mi racconta che è successo a Zurigo, a lei è venuto in mente che ‘prima di tutto ci vuole una sedia e poi un libro’. È poi il modo in cui sviluppa l’idea più logica, più chiara, mi verrebbe da dire, che fa di lei una delle artiste più originali e godibili che io abbia mai visto.
Approfondimenti
AUTORE Sara Rossi Guidicelli
PUBBLICAZIONE Rivista 3valli
DATA DI PUBBLICAZIONE 01 Maggio 2019
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