Come continuano a vivere le Milizie napoleoniche

Duecento anni dopo le battaglie napoleoniche, i bleniesi continuano a onorare e rinnovare una promessa. Indaghiamo sulle motivazioni che spingono alcuni di loro a perpetrare una tradizione

Con la Milizia si cresce. Fin da piccolo, il bambino di un paese in cui è radicata la tradizione della Milizia sente racconti, tocca i costumi, aspetta il momento di entrare a far parte del corpo. Non c’è un corso, un rito di iniziazione, una prova da superare: semplicemente, un bel giorno cominci. E raramente smetti.

Il piccolo Marco ha oggi sette anni. Per lui, il primo ricordo risale a quattro anni fa, quando con suo papà ha costruito un fucile di cartone e lo ha dipinto di nero. Poi lo ha mostrato a sua mamma. Era il prototipo per costruire i 10 fucili per i bambini di cui si è dotata la Milizia di Aquila nel 2008, fatti di legno e sbarre nere.

L’anno scorso ha messo la divisa per la prima volta. Carla Devittori è la sarta che ha preparato i vestiti per i più piccoli, miniature di quelli dei soldati adulti, ma di stoffa leggera. Marco me l’ha descritta: rossa, blu e bianca, e il cappello con le piume. Mi ha fatto vedere come si tiene il fucile e come si cammina: con il piede sinistro che batte per terra insieme al battito del tamburo. Mi ha spiegato che la Milizia esiste perché doveva aiutare Napoleone e poi è rimasta. E infine ha fatto un disegno.

Il papà di Marco, Daniele De Giorgi, è comandante della Milizia di Aquila dal 2003. Ha cominciato la sua carriera nella Milizia di San Vittore, che all’epoca era il corpo dei bambini. Gli brillano ancora gli occhi quando racconta di un’uscita alla festa dei fiori di Locarno, a 18 anni nellaMilizia regolare): «All’epoca non era come ora, che ci sono tante occasioni di andare in giro», spiega. «Per noi andare a Locarno e partecipare a quella bella celebrazione come la facevano una volta, è stato qualcosa di molto importante e sembrava di andare chissà dove». Spiega che non esiste più la Milizia di San Vittore, ma i piccoli entrano direttamente nel gruppo dei grandi verso i 7-8 anni, e ci stanno, tranne qualche eventuale stagione di pausa, finché possono indossare le divise degli adulti.

Per Daniele De Giorgi l’aspetto più importante è quello storico. Ha letto e scritto sulle Milizie con il rigore di uno studioso, interessandosi alle armi e ai costumi, alle battaglie e ai singoli individui di cui è rimasta una traccia. Ha seguito la pubblicazione del libro Milizie della Valle di Blenio – tra storia e memoria, commissionato dal Museo di Lottigna e presentato il 9 maggio, dagli autori Davide Adamoli e Damiano Robbiani. Nel libro, vari autori affrontano le milizie dal punto di vista storico, militare, aneddotico, archivistico e così via.

Un libro importante, visto che dopo il volumetto Ticinesi in campagna di Russia di Gaetano Beretta del 1937, non era mai stata fatta una ricerca esaustiva negli archivi per raccogliere informazioni sulle milizie ticinesi.

Oltre alla Storia, De Giorgi dà valore alla tradizione che si tramanda attraverso le generazioni e che aiuta a mantenere il legame con il proprio paese e stimola le famiglie e partecipare alla festa della Madonna del Rosario. «Mi piace vedere come nelle nostre valli, in paesi discosti, si sia riusciti a mantenere questa tradizione. Anche in Italia per esempio ci sono milizie, con origini storiche molto diverse ma che continuano a mantenere una funzione simile, di coesione, di identità, di memoria molto importante. Ritengo interessante che nei secoli scorsi, anche per queste Milizie, come per le nostre, erano in particolar modo gli emigranti che raccoglievano collette per l’acquisto dell’equipaggiamento e delle bandiere. Comunque, quello che mi rende più contento è vedere la forza della Milizia: abbiamo oggi più aderenti che negli anni Quaranta, il che significa che non scompariremo tanto facilmente…».

Per non fare torto a nessuno, ma soprattutto per la curiosità di conoscere più storie, incontro esponenti di ognuna delle tre milizie. Denys Gianora, presidente del Comitato di Leontica, si presenta insieme a Martino Buzzi, di Aquila ma milite di San Giovanni. Come è possibile? «Ho sposato una donna di Leontica e ho cominciato a far parte della sua Milizia. Fin dal primo giorno mi sono sentito perfettamente accolto. L’importante è sentire un legame con il paese», sorride. Addirittura, c’è un milite marito di una leontichese di seconda generazione: stanno a Lugano, ma non si è mai perso una sfilata. A questo proposito, Gianora racconta che un tempo, gli emigrati tornavano apposta per il giorno di San Giovanni Battista. Magari non riuscivano a venire a casa il giorno di Natale, ma il 24 giugno, non mancavano alla promessa dei loro avi per niente al mondo. Il presidente pensa che non sia solo una questione di tradizioni. «Per me, essere nella Milizia è rappresentare qualcuno che duecento anni fa ha fatto un voto. Se non ci fosse quella promessa sarebbe molto diverso. Il lato religioso è fondamentale. Poi certo viene quello storico, quello del tramandarsi una tradizione e infine, quello che per me conta meno, l’aspetto militare». Denys Gianora ha progettato il rinnovo delle divise, un lungo lavoro e una spesa importante. Innanzitutto vi è stata una ricerca per capire come fossero gli indumenti e le armi con cui sono partiti i militi di inizio Ottocento, la scuola tecnica di abbigliamento di Lugano li ha cuciti, mentre i cappelli sono stati ricreati da un artigiano bernese. La ricostruzione è stata tanto più difficile perché nel 1940 l’archivio di Leontica era bruciato, ma nell’estate del 2007 si sono inaugurate 45 nuove divise (incluse quelle dei cadetti, finanziate dalle Volontarie di Leontica). «Oggi la nostra Milizia è parte della federazione cantonale dei costumi ticinesi», spiega con fierezza. Altra conseguenza non da poco, l’entusiasmo provocato dalla novità ha fatto aumentare il numero di soldati di un terzo.

Il comandante, da quasi un ventennio, è Damiano Gianella, leontichese che da anni non vive più in valle. «Non cambia niente. A Leontica ci sono le mie radici, non importa dove abito o lavoro. Il legame è immutato, a volte mi sembra ancestrale e per me San Giovanni è più importante di qualsiasi altra festa».

In quasi trent’anni di servizio, è mancato una volta sola, nel 2006: da qualche giorno era nata sua figlia Ludmilla. Gianella è maggiore tuttora in servizio dell’esercito e prende sul serio il suo ruolo di comandante-coordinatore della Milizia. «Mi arrabbio se manca motivazione, rispetto, affidabilità o costanza. I giovani militi si lamentano del caldo, o del fatto che il fucile è pesante; non sono abituati a sentirsi dare ordini. Ma nessuno comanda, nessuno è obbligato a entrare nella Milizia, siamo tutti volontari e se siamo lì è perché vogliamo onorare una promessa. Credo che ognuno trovi le proprie ragioni dentro di sé, senza bisogno di indottrinamenti». D’altronde, una volta le uniformi erano di lana blu scuro, quindi molto più pesanti e calde e capitava che i militi svenissero con maggiore frequenza; quelle nuove sono invece di panno leggero. Il comandante non vuole limitarsi a parlare solo di ciò che ‘va bene’; gli chiedo però di spiegarmi anche che cosa ama. «Non mi è facile riportare a parole le emozioni che dà la Milizia. Bisogna vederla, o viverla. Sento che tramando una tradizione e mi rende fiero vedere i militi sfilare compatti, in modo armonioso e preciso, gradevole a vedersi. Mi provoca una grandissima emozione, con le lacrime agli occhi e la pelle d’oca sentire, la nostra ‘potenza di fuoco’, ossia i tamburini, suonare le dodici marce di ordinanza, mentre osservo sfilare austera la Milizia. Inoltre mi piace il fatto – rarissimo – di come i rituali di un corpo militare si intreccino con quelli eclesiastici officiati dal prete durante la messa».

La Milizia più numerosa è quella di Ponto Valentino e le circa 60 divise attuali non bastano più. Si ricorda il comandante Edouard Nolli che quando aveva 14 anni e ha sfilato per la prima volta, i militi erano quarantuno. «Il mio primo contatto con la Milizia tuttavia è stato precedente a quel momento. Da bambino per la Madonna del Carmelo mi travestivano da angioletto (con le ali di cartone) e mi appostavano nel cortile di una casa, da dove vedevo sfilare i soldati. Tutto il paese era addobbato e i bambini facevano le comparse in vari punti del paese. Ricordo con piacere la signora Gesuina Guidicelli che era la responsabile anche delle ‘verginelle’ e in quei giorni si dava un gran da fare. All’epoca era l’evento più importante dell’anno, non dico solo per Ponto, ma per noi pontesi. Pochi avevano la televisione, viaggi non ne facevamo e la festa del paese era attesissima. Mi ricordo anche che all’epoca costituiva un’occasione di rivedere chi era partito anni prima e tornava solo per la terza domenica di luglio. Quel giorno si sentiva parlare una lingua che a noi sembrava antica… il nostro vecchio dialetto riportato dagli emigranti». Ora anche il figlio di Nolli, Simone, è entrato nella Milizia. «È così: generazione dopo generazione. In fondo, questa festa è un voto che facciamo anche noi, ognuno di noi. Non più per salvare la pelle, ma per continuare la tradizione», spiega il comandante. I pontesi portano le scarpe basse e eleganti e la divisa dei soldati svizzeri di inizio Novecento, sostituite dall’esercito durante la Prima guerra mondiale e mantenute dai militi. Non le hanno più cambiate da un secolo: ormai è come una tradizione dentro la tradizione. Un’altra particolarità di Ponto Valentino è che nello Statuto della Milizia sta scritto che i militi sfileranno unicamente per la Madonna del Carmelo, cioè una sola volta l’anno. È stato poi aggiunto un articolo, che aggiunge la possibilità di fare eccezione, partecipando a altre manifestazioni civili, storiche o religiose. Per esempio come l’uscita a Morges del 2000, quando la Milizia di Ponto Valentino è andata a una giornata di tiro federale rappresentando il Ticino. Nolli ne serba un ricordo favoloso, con altre milizie svizzere, alcune con cavalli e cannoni.

Infine (ma sarebbe stato bello chiedere a ognuno un ricordo, una parola), Alain Melchionda, giornalista Rsi, ci ha scritto un testo pieno di amore per la sua Milizia: «Non mi sono mai posto la domanda se sfilare o no nella Milizia di Ponto Valentino. È qualcosa di naturale, anche per me che non vivo a Ponto Valentino. Quando ero piccolo sfilavo nei soldatini di San Martino, un’altra tradizione che ricordo con grande affetto. La Milizia della Madonna del Carmelo era invece per i grandi, e io li guardavo sempre immaginandomi un giorno di poter essere con loro. C’era mio padre ai tempi che sfilava, quindi sono cresciuto assieme a queste tradizioni in modo del tutto naturale. All’età di 5 anni la mia famiglia si è trasferita lasciando la Val di Blenio. Ma la valle e Ponto Valentino in particolare restano e resteranno per sempre nei miei affetti. Credo nella storia, nei simboli e nelle tradizioni. Sfilare nella Milizia napoleonica per me vuol dire questo: portare sulle spalle non solo il fucile, ma la storia e il vissuto di un popolo e della sua gente. Persone lontane nel tempo che non abbiamo conosciuto, ma che con i loro sacrifici e la loro lealtà hanno contribuito a costruire il nostro presente. E anche il mio, che ho avuto la fortuna di nascere e vivere la mia infanzia in un luogo verso il quale sarò sempre riconoscente per tutto quello che mi ha dato e mi dà».

Approfondimenti

Sito della Milizia di Ponto Valentino
Sito della Milizia di Leontica
Gli eredi della “Grande Armée”, documentario di Gianni Volonterio, 2012

Riferimenti bibliografici
Milizie bleniesi, Milizie storiche della Valle di Blenio. Tra storia e memoria
di Davide Adamoli e Damiano Robbiani, Salvioni 2012

AUTORE
Sara Rossi Guidicelli

PUBBLICAZIONE
Rivista 3valli

DATA DI PUBBLICAZIONE
01 Maggio 2012

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