Pietro Veglio: un economista contro la povertà nel mondo

Intervista a Pietro Veglio

Pietro Veglio, economista, già direttore esecutivo della Banca Mondiale per la Svizzera, è originario di Acquarossa e ha studiato all’Università di Friburgo. Tra gli altri incarichi oggi guida la Federazione delle Ong della Svizzera italiana (Fosit) ed è membro della commissione consultiva per la Cooperazione internazionale allo sviluppo del Dipartimento federale degli Affari esteri (Dfae). A 3valli racconta il suo legame con la valle di Blenio e i valori che lo hanno guidato durante tutta la sua lunga carriera.

Che ricordi ha della sua infanzia nella Valle di Blenio?

I miei ricordi sono legati alla spaziosa casa di mio nonno Francesco, nella frazione di Roccabella, a Corzoneso Piano, oggi ormai parte integrante del comune di Acquarossa. Quando i miei genitori abitavano a Bellinzona vi trascorrevo alcune settimane durante le vacanze scolastiche estive, con alcuni miei cugini. Ci si arrivava ancora con il bellissimo trenino che si fermava appunto alla stazioncina di Corzoneso Piano. Giocavamo spesso a nasconderci nel giardino di casa, così come a far rimbalzare pietre nel fiume Brenno. Mi ricordo anche di aver dato una mano alle attività di fienagione nel prato davanti alla casa. Le giornate trascorrevano tranquille, senza stress. Andare a fare la spesa o a bere una gazosa ad Acquarossa nel grotto vicino al fiume, mentre si guardavano gli adulti giocare a bocce, era una piccola avventura.

Come ricorda quel periodo, erano tempi difficili per i bleniesi?

Nel 1914 mia nonna e mio nonno, con sette figli in tenera età, emigrarono nei sobborghi di Londra, per raggiungere il fratello di mio nonno che lavorava in un ristorante. In quel periodo e per i due decenni successivi parecchi bleniesi dovettero emigrare per poter sopravvivere e mantenere le loro famiglie, alcune rimaste in Valle. Una migrazione che coinvolse molte famiglie ticinesi e che le nuove generazioni hanno purtroppo già dimenticato. Personalmente ho quindi ascoltato diversi racconti di mio nonno, papà e zie legati a quella esperienza per certi aspetti traumatica, perché quando i nonni raggiunsero Parigi, appresero che era scoppiata la prima guerra mondiale. Ma ormai non potevano fare retromarcia. A Londra vissero per cinque anni, un periodo difficile e di stenti, proprio perché fu un arduo periodo bellico. Mio padre frequentò, come le quattro sorelle, la scuola elementare pubblica inglese e alla fine tutti padroneggiavano la lingua di Shakespeare. Nel 1919 rientrarono a Bellinzona, dove successivamente mio nonno gestì una pasticceria che poi fu trasmessa a mio papà. Quando io ero bambino, i tempi rimanevano problematici per i bleniesi ma c’erano anche molte speranze e nuove prospettive. In verità il boom economico successivo vissuto dal Ticino ha progressivamente marginalizzato le nostre regioni periferiche, in particolare le Tre Valli.

Che legami ha oggi con la Valle?

Onestamente non molti, purtroppo. Ho vissuto per 37 anni, di cui 22 all’estero, fuori dal Ticino per cui ho perso molti contatti personali. Cerco però di ritornarci, anche se per brevi soggiorni, specialmente a Corzoneso, Olivone – per visitare degli amici – Acquacalda e la zona del Passo del Lucomagno.

C’è un luogo che preferisce?

La regione di Acquacalda e del Passo del Lucomagno per la bellezza della natura. Amo infatti fare escursioni a piedi in quella zona, dove fra l’altro nasce il fiume Brenno.

Quando è nata la sua passione per l’economia? C’è stato qualcuno che l’ha ispirata?

La prima e forse più importante passione me l’ha trasmessa nel lontano periodo 1962-64, il professor Bruno Caizzi, mio docente di economia politica presso la Scuola cantonale di commercio a Bellinzona. Fra l’altro, ricordo che Caizzi ci fece un’introduzione all’economia dello sviluppo nei paesi del Terzo Mondo. Un corso ben strutturato, interessantissimo, avanguardista e con una notevole visione del futuro. Quel periodo storico fu infatti caratterizzato dall’accesso all’indipendenza politica dei Paesi africani. Allora, ben pochi economisti occidentali si interessavano a questa problematica preferendo concentrare le loro analisi su quanto conoscevano: il mondo industrializzato. Caizzi era un docente fuori dal comune, di vasta cultura, piombato quasi per caso nel mondo scolastico ticinese. Mi rendo conto del privilegio che ho avuto di beneficiare dei suoi illuminanti stimoli.

Lei si è occupato principalmente di sviluppo e cooperazione, ricoprendo ruoli molto importanti all’interno della Banca mondiale e di altre istituzioni. Quali sono i valori e le idee che l’hanno guidata in tutti questi anni di carriera?

Ho sempre considerato la dimensione etica come un elemento fondamentale dell’economia politica. ‘Nur Oekonomie ist keine Oekonomie’ (l’economia da sola non è economia, ndr), come ripeteva un mio professore universitario, Basilio Biucchi, bleniese di Castro. In particolare, lo sviluppo economico non dovrebbe mai essere fine a se stesso, ma mettere sempre al centro l’uomo. Lo crescita economica è una condizione indispensabile dello sviluppo, ma non sufficiente. Deve essere completata dalla lotta per il raggiungimento di obiettivi sociali fondamentali – in particolare l’eliminazione della povertà estrema che ancora caratterizza la realtà di troppi Paesi in via di sviluppo – e dalla transizione verso un’economia che utilizzi in modo molto più sostenibile le limitate risorse naturali del nostro pianeta.

L’economia mondiale è sempre più globalizzata ed è basata sull’interdipendenza fra regioni e Paesi. Le grandi sfide attuali – cambiamenti climatici, gestione delle risorse naturali, migrazioni, sicurezza alimentare, lotta contro la corruzione – non possono essere risolte se non attraverso il dialogo e la cooperazione internazionale. La Svizzera può giocare un ruolo modesto ma qualitativamente importante in questo contesto. L’ho constatato diverse volte nella mia carriera professionale. E può contribuire pragmaticamente – sulla base dell’esperienza accumulata in vari settori da un’economia privata innovativa, dalla comunità accademica e scientifica, dalle organizzazioni non governative, ecc. – alla soluzione progressiva di queste sfide. Mi sono impegnato per difendere questi valori ed idee, ad esempio per favorire una restituzione degli averi di ex-dittatori illegalmente depositati in Svizzera ai Paesi di origine e a beneficio delle popolazioni più povere.

Lei crede che il luogo dove si nasce possa in qualche modo forgiare il carattere di una persona?

Certamente, perché l’avere solide radici territoriali e culturali e la fierezza delle stesse aiuta a forgiare il carattere personale, soprattutto vivendo all’estero e nel contatto quotidiano con altre realtà politiche e sociali. Detto questo, sono consapevole del fatto che la mia generazione sia una generazione fortunata rispetto a quella dei miei genitori e nonni. Per esempio, noi non abbiamo avuto problemi per trovare un posto di lavoro, anzi in certi casi avevamo addirittura un paio di opzioni. Cosa che non è più possibile per le nostre giovani generazioni.

In che direzione sta andando l’economia della Svizzera?

L’economia della Svizzera sta affrontando sfide difficili in un contesto internazionale di crescita insufficiente. Ammiro parecchi imprenditori elvetici e la loro capacità di essere propositivi, innovativi e assumere rischi non indifferenti a livello tecnologico, produttivo e commerciale. Ci sono imprese svizzere che, nonostante la concorrenza estera, la crisi europea e il franco forte, sono riuscite non solo ad essere redditizie, ma anche a mantenere posti di lavoro in Svizzera, sviluppare nuovi prodotti e proiettarsi verso nuovi mercati, in Europa orientale, in Asia e negli Stati Uniti.

Che cosa vede all’orizzonte?

Un grosso rischio è quello legato alla delocalizzazione delle attività produttive. Un altro è quello dell’utilizzo di robot nei processi produttivi con conseguente diminuzione dei posti di lavoro. E’ sempre più problematico salvare i posti di lavoro meno qualificati, perché i salari svizzeri non sono concorrenziali rispetto a quelli di altri Paesi. Occorre dunque puntare maggiormente sull’espansione delle attività più qualificate come finanziamento, ricerca e sviluppo, promozione commerciale, manutenzione e servizi dopo-vendita, ecc. In Svizzera abbiamo due eccellenti scuole politecniche federali, ottime scuole universitarie professionali ben ancorate territorialmente e un sistema di formazione professionale di alta qualità che ci è invidiato da molti Paesi. Possiamo quindi vincere queste sfide.

Che cosa si augura per il futuro della Valle di Blenio?

Mi auguro soprattutto che i giovani abbiano nuove prospettive interessanti di lavoro, anche in Valle, in particolare nella produzione agricola di prodotti di nicchia ma di alta qualità, in attività legate a un turismo non di massa (Alptransit va sfruttata per attirare turisti svizzero-tedeschi e romandi interessati a soggiornare nella splendida Valle del Sole), e start-up innovative.

AUTORE
Elena Boromeo

PUBBLICAZIONE
Rivista 3Valli

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