Il ritmo del fondista

Ulderico (Rico) Derighetti ci racconta delle sue innumerevoli gare di sci di fondo e di una passione che non diminuisce mai…

Difficile stare fermi quando è mezzo secolo che non ti perdi una gara. Eppure, quest’anno Rico ha dovuto rinunciare, in seguito a un’operazione. È la prima cosa che mi dice, lui che ha partecipato alla prima maratona di San Moritz nel 1969 e da allora non ne ha mancata una sola.

Nato ad Acquarossa nel 1942, è cresciuto a Dongio. Da giovanissimo ha iniziato a sciare (in casa aveva sia gli sci da discesa sia quelli di fondo, di legno) e poi, piano piano, il suo interesse si è inclinato sempre più verso lo ‘sport dei poveri’, come si chiamava un tempo lo sci di fondo. Si allenava a Torre e in Pian Castro, prima ancora che aprissero la meravigliosa pista di Campra. «Perché preferisco il fondo allo sci alpino? È più impegnativo, fisicamente è più duro, quindi richiede una condizione fisica migliore. Questa è la sfida che mi ha fatto appassionare», spiega.

La prima gara internazionale fu, come abbiamo detto, a San Moritz nel 1969; Derighetti ci andò con un amico e arrivò 66esimo su 900. Era un altro mondo, un’altra epoca: si partiva tutti insieme (e non a blocchi, come adesso che concorrono in 12-13mila) e c’era chi doveva fermarsi perché aveva rotto gli sci.

Da allora Rico ha partecipato alla gara in Engadina ogni anno, nella seconda domenica di marzo, per i 42 chilometri da Maloja a S-chanf attraversando i laghi ghiacciati di Sils e di Silvaplana. Ma non si è limitato a quella gara! Nossignori, Rico Derighetti è diventato un vero fondista nel cuore (anche se non nella professione) e ha viaggiato per il mondo con gli sci in spalla. Sci che ormai non sono più di legno da un pezzo e stile che egli ha voluto cambiare: nel 1985-86 iniziò con lo sketting, ma procediamo con ordine.

Nel 1980 partecipò per la prima volta alla Marcia lunga in Alto Adige e per 15 anni di fila fu un fedelissimo anche di quella, insieme a vari altri ticinesi.

Nel 1981 partì più lontano, per la Norvegia, con l’amico Augusto Rigozzi. 56 chilometri con un sacco di 6 chili sulle spalle. Contrariamente a quello che si può pensare se non si conoscono le piste, la gara norvegese ha la particolarità di essere tutta un ‘su e giù’, mentre la maratona engadinese è molto più piatta! Come ci si vestiva un tempo, quando le tute da sci non erano calde come quelle di oggi? «Mettevamo ghette e tuta e in mezzo imbottivamo di giornali. Bisogna coprire bene la bocca e le orecchie e i guanti li avevamo doppi…».

«Nel 1982, ormai mi era iniziata la febbre», si esprime così Rico, per raccontare che quell’anno visitò la Svezia e la Finlandia… come fondista naturalmente. A inizio marzo c’è la Vasaloppet, una gara di 90 chilometri e in febbraio la maratona Hiito. Tornò a gareggiare in entrambe le competizioni anche nel 1987, ma iniziò anche a partecipare alla Transjurassienne in Svizzera e ad altre gare in Germania e Austria.

Durante l’inverno si allenava sul mezzogiorno e la domenica. In parte i suoi figli lo hanno seguito, soprattutto Gabriele, che ha preso un po’ della sua passione; ma nessuno dei due ha consacrato tanto tempo e tanto impegno come lui. «Ormai in quegli anni», prosegue Rico, «avevo superato i quaranta ed lì che ho raggiunto la mia maturità da sportivo: avevo l’esperienza, l’allenamento, che sono ancora più importanti della potenza fisica». Imparare a sciolinare bene gli sci a seconda della neve c’è, a concentrarti, a resistere con perseveranza, a dosare le tue forze, tenere il ritmo… «Mi sono fatto male due volte nella mia vita, ma sono sempre arrivato al traguardo senza aiuti e questo per me è la cosa che conta di più», spiega.

AUTORE
Sara Rossi Guidicelli

PUBBLICAZIONE
Rivista 3valli

DATA DI PUBBLICAZIONE
02 Aprile 2016

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