In tempo di sagre… lettera di Sandro Beretta

Lettera dalla valle di Blenio

È finito anche quest’anno, quassù, il tempo delle sagre, intanto che le bestie sono tornate dagli alpi e i contadini s’attardano con il fieno delle rive. Le ultime, il San Bartolomeo di Marolta e il Sant’Agostino, seppellito ai grottini di Ludìano, portano già l’odore dell’uva che matura e l’impronta dell’estate che finisce. Ma il tempo che va da giugno ai primi di settembre, è stato sempre tempo di grazìa e di santi. L’inizia, nella terza di giugno, il Sant’Antonio di Castro, un paesino in mezzo alle vigne, tutto racchiuso fra l’oratorio e la canonica e l’”osteria del Mulino”, al ponte. Un vecchio e imponente mulino in rovina, con due enormi ruote di legno in sfacelo, che vi appare per primo, almeno per chi risale per la strada bianca e polverosa di Ponto Valentino, tutto vi è cosi misurato da rammentarvi (ma forse è soltanto una suggestione) i colori delle tele che i nativi di Castro pittori Biucchi disseminarono per le chiese e le cappelle della valle e di fuori, nella prima metà dell’Ottocento. La gente, però, non sembra poi prestare troppa attenzione a tanta armonia e a parte quelli che sulla sera compaiono un chilometro più su, al bivio per Marolta, nell’osteria di Traversa per una ballata alla buona, preferisce, per far festa, altri paesi e altri santi. Nè le si può dar torto. La domenica dopo, assai più severo e gagliardo, con magna pompa di clero, si festeggia il San Giovanni di Leontica, nell’enorme chiesone, dalle mura massiccie e smisurate. Solo la fede testarda dei nostri proavi, deve aver reso possibile la sua miracolosa erezione, a quel tempo. Pietra per pietra, pioda per pioda. Materiale portato tutto a spalla, con il concorso di tutti gli uomini validi della comunità pastorale, come informano le vecchie carte. II 29 di giugno, è la volta del San Pietro di Lottigna, che essendo dì solito a metà settimana, consente il prolungarsi della baldoria fino alla domenica successiva, o magari una capatina fin dal fratello maggiore, il San Pietro che si spegne nell’euforia dei grotti dì Bìasca.

Poi, via via, il San Rocco di Prugiasco, il santo (per chi non lo sapesse), degli antichi sudditi di Uri e della Leventina. E la chiesa, su in alto, fra le case alte secentesche, pare averci tramandato la loro ultima esitazione (di quegli antichi abitatori dì Negrentino travasatasi dal passo di Nara) a stabilirsi nel piano. Ai loro tardi nipoti, è rimasto comunque un che di forastiero; l’alta statura, i capelli biondi, una tradizione di forza.
Senza voler enumerare tutte le sagre della bassa valle (a Malvaglia sono addirittura tre o quattro), un po’ anonime e borghesuccie, dobbiamo dire ancora piuttosto, che da Ponto in su, nell’alta vaile, l’iconolatria (diremo così) è femmina. A parte la Madonna di Ponto Valentino, della quale diremo dopo, c’è quella di Aquila, quella di Olivone, quella di Campo; senza contare quella di Santa Maria sul Lucomagno, d’origine antichissima, che finisce all’albergo dì Acquacalda con la partecipazione dei villeggianti, della gente dei monti circonvicini, degli uomini degli alpi; dei boggesi, dei pastori. E al 15 agosto, giusto prima dello scarico delle bestie e della fine della villeggiatura. A Corzoneso, per ritornare sulle pendici della media valle, si tiene il « San Nazì » (il Nazario dei taccuini), che la gente chiama però stupendamente « La festa del perdono ». Rassegnarsi, perdonare o farsi perdonare, ha un senso, per questa gente che, del resto, come ci faceva osservare un intenditore, ha sempre provveduto ad effigiare qua e là sui muri delle cappelle e delle case, molte più scene di pietà e di deposizione che non scene di truculente crocifissioni. Feste di gusto squisitamente popolaresco.
Alcune, purtroppo, sono ridotte ormai ad una processionetta intorno alla chiesa ed a qualche banchetto di dolciumi, magari là dove, ancora non molti lustri or sono, si avvicendavano sulla piazza, mescolati come in una fiera alla gran folla dei terrieri e dei contadini del vicinato, i mercanti d’ogni sorta di attrezzi, di casalinghi, “di roba di braccio ».
Feste popolaresche, dicevamo, alle quali la nostra pìccola borghesia vallerana, nata appena, da qualche po’ di industria o commercio locale, inurbata tardamente da qualche pubblico impiego e non volendosi riconoscere più figlia di contadini, sì vergognerebbe di partecipare troppo attivamente.
Del resto anche la gioventù ostenta una strana indifferenza, vuoi per far diverso dai vecchi, vuoi perchè il giovane contadino è, nel più dei casi anche un operaio dei forni di Bodio o magazziniere a Biasca e Bellinzona o artigiano altrove, e pur rientrando a casa, porta i suoi interessi sul piano di quelli dei suoi coetanei di mestiere; non so, il calcio o la lambretta…
Dove le sagre conservano ancora un po’ del loro antico lustro, è là dove il vivere della gente ha conservato più a lungo il carattere arcaico delle origini contadine; sulla sponda destra, feudo dei clericali e dei moderati. Fa eccezione la « Madonnina » di Ponto Valentino. Una festa della quale i pontesì sono gelosissimi e per la quale scendono dai monti addirittura alcuni giorni prima; che ha ancora la coda del lunedì. Ponto Valentino, con tutte le sue case bianche sulla strada, là dove a 700 metri, cioè oltre il limite consentito, su per i pendìi assolati matura ancora la vite. Che dà un vinello asprigno e traditore, che invoglia a rinnovare, in occasione della « Madonnina », le antiche orgie delle feste pagane di Bacco, celebri, secondo la tradizione, proprio in quel di Ponto…
La partecipazione alla Sagra, è veramente plebiscitaria. Uomini raggrinziti dal lavoro, con gli abiti vecchi da sposo; donne legnose, ricurve, con gli occhi saettanti sui banchetti; ragazze pudiche e modeste nelle vesti fiorate di cotone. Ma anche folla borghese e forastiera. L’impiegato con gli abiti di tutti i borghesi del mondo, la moglie altera e azzimata e la carrozzella moderna; il vecchio emigrante arricchito; i “bernesi “. Quest’anno c’erano forse, non esagero, mille persone. Ho contato una quarantina di macchine, sulla piazza, metà delle quali targate a Berna. Qui bisogna sapere che tutta l’emigrazione pontese punta sulla capitale federale. La metà dei chioschi e delle bancarelle da marronaio sotto i portici di Berna, sono geriti da oriundi pontesi. I Jametti, i Vanazzi, ì Bulloni, i Valentìni… La cosa è strana fino ad un certo punto. Uno se ne va e chiama vicino a sè, appena ha fatto un po’ di fortuna, il parente, l’amico. Si ricostruisce così, altrove, un nucleo di villaggio, attaccato più d’ogni altro alle tradizioni di origine. Perfino nel linguaggio straniero che parlano c’è un che di gutturale, di patetico, di strascicato, proprio della loro parlata nativa. Così, ti dicono per esempio « Ghiutentaghg » o qualcosa di simile. Ho visto i figli di questi oriundi, fotografare da turisti la processione o i soldati della milizia, ma i padri, li troverete seduti al fresco delle osterie, con un mezzo litro davanti e l’antico coetaneo di fronte. Poesia del ritorno…
La «Milizia », è forse ancora la cosa che più attira tanta gente. E non avrete fatto cento passi sulla festa che, se vi avranno addocchiato come persona « solvibile », qualcuno vi metterà in mano un cartoncino: « Ponto Valentino Festa della Madonna del Carmelo: la tradizionale milizia pontese vi ringrazia per il generoso obolo! ». Ne avrete per uno scudo, se volete salvare la faccia…
Quando i nostri valligiani, che combatterono sotto le più svariate bandiere, riuscirono finalmente ad esimersi dalle lotte mercenarie ed a vivere in pace, pensarono di creare in ringraziamento per la vita salvata, una milizia d’onore ai santi patroni dei vari paesi, dotandola di divise simili a quelle dei soldati e dei generali di Napoleone. Probabilmente solo perchè allora erano le più in voga nel resto dell’Europa… Perchè invero potrebbe sembrare ben strana questa fedeltà napoleonica in una bisogna che per sua natura doveva essere più vicina alla Santa Alleanza… Comunque, l’usanza che ancora un secolo fa era di tutti i paesi, è rimasta ormai superstite a Ponto Valentino e, credo, ad Aquila. Ed è un vero peccato. Perche bisognerebbe vedere lo spettacolo che si snoda all’ombra dell’acutissimo campanile romanico di Ponto, nella terza domenica di luglio! Crocchi di gente, altarini carichi di drappi, paramenti alle finestre… Nella processione da un capo all’altro del paese, la milizia è in testa.
I turbanti dai fiocchi variopinti, i calzoni bianchi, le giubbe azzurre di Napoleone, le sciabollunghe, ricurve, lucenti. Prima i tamburini, poi il comandante, i « sapeurs », i fanti; seguono i preti sotto il baldacchino cantando; la confraternita, poi la « Madonnina », zeppa anch’essa di fiori e paramenti, portata a spalle; le “verginelle “, gli uomini usuali, poi le donne oranti e stonate. E intanto vi rintuona nelle orecchie, uno scampanare lungo e festoso.
Alla sera, nell’osteria del Ponte (tutte quelle osterie ai ponti!) i giovinetti rudi, nutriti alcuni di onesta sbornia, si contenderanno, al ballo, ragazze robuste e rubiconde. Qualche volta, minacceranno di rinnovare le gesta di quando, « in illo tempore », le feste finivano regolarmente con un sacco di legnate! Sempre più raramente, però. Come si sa, il mondo progredisce…
Quest’anno per esempio, a Lottigna, nel salone della « Pro », al passo coi tempi, si è proceduto perfino all’elezione di « Miss Blenio 1957 ». Oh, una cosa alla buona, senza spogliarello ! È vero che i giornali clericali non avevano mancato di malignare, il giorno prima, che fino a tuttora, miss Blenio era sempre stata solo la più bella mucca dei nostri alpi… . Un po’ perfidamente, bisogna ammetterlo…

AUTORE
Sandro Beretta

PUBBLICAZIONE
Libera Stampa

DATA DI PUBBLICAZIONE
14 Settembre 1957

Nessun commento

Sorry, the comment form is closed at this time.